
COLPA DELLE STELLE
La chiamano “sick lit”, etichetta modellata su “chick lit”: sono i romanzi in cui c’è almeno un malato grave, e da cui ricaviamo almeno una frase memorabile.
La chiamano “sick lit”, etichetta modellata su “chick lit”: sono i romanzi in cui c’è almeno un malato grave, e da cui ricaviamo almeno una frase memorabile. “Love Story” di Eric Segal aveva “amore significa non dover mai dire ‘mi spiace’”. “Colpa delle stelle” di John Green ne ha una quantità. Spiega la protagonista Hazel, malata di cancro come il fidanzatino Gus, a cui hanno amputato una gamba: “Dicono che la depressione sia un effetto collaterale del cancro. Balle. La depressione è un effetto collaterale del morire”. Un tipino così – l’attrice è Shalene Woodley, figlia di George Clooney in “Paradiso amaro” e ragazza dai troppi talenti in “Divergent” di Neil Burger – ha da dire la sua anche sugli altri film ambientati in una corsia d’ospedale: “Questa è la vita. Significa che non tutto si aggiusterà perdonandosi l’un l’altro e ascoltando una canzone di Peter Gabriel”. Il romanzo (esce da Rizzoli, negli Stati Uniti sta saldamente in classifica da mesi e ha venduto 9 milioni di copie) è un po’ più contenuto – tutto è relativo, visto che deve far piangere. Il film non si ferma davanti a nulla, e grazie all’’indubbia carineria dei due ragazzini, lei sempre con i tubicini nel naso, ha incassato 48 milioni di dollari nel primo fine settimana.


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