LA BUCA
Carmen la barista veste Prada. Ovvero: come rovinare la già scarsa credibilità del cinema italiano, dove per credibilità si intende il grado zero del patto stipulato con lo spettatore.
Carmen la barista veste Prada. Ovvero: come rovinare la già scarsa credibilità del cinema italiano, dove per credibilità si intende il grado zero del patto stipulato con lo spettatore. Valeria Bruni Tedeschi pare già un azzardo, se parliamo di casting: l’allure altoborghese da ragazza “schifosamente ricca” - come confessava al prete nel suo primo film da brava regista, “E’ più facile che un cammello…” – non sparisce se la piazzi dietro il banco a preparare cappuccini. Se poi le metti addosso un twin set di finissimo cachemire, in sfumature di mattone e rosa cipria accostabili solo da chi mangia moda e brioche (nel senso di Maria Antonietta) anche lo spettatore più complice sussulta. Vale lo stesso per il maglione ceruleo, il cappottino in tinta, un vestito stampato e un soprabito con colletto di pelliccia argentata da sfoggiare in tribunale. A meno che il guardaroba non vada messo in carico al genere grottesco qui invocato dal regista, da sempre nel nostro cuore per “Cinico tv” (in coppia con Franco Maresco: cogliamo l’occasione per ribadire che “Belluscone”, diretto dall’ex socio, andrebbe visto e applaudito prima che sparisca dalle sale). Il primo film di Daniele Ciprì – “E’ stato il figlio”, premiato due anni fa alla Mostra di Venezia, dal romanzo di Roberto Alajmo – aveva offerto a Toni Servillo l’occasione per tirar fuori un po’ di grinta recitativa, al netto dell’aura da mostro sacro portata a pieno compimento in “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino. Con Valeria Bruni Tedeschi il colpo non riesce: si invocano le cattiverie da commedia all’italiana – e c’era di che, in una storia di avvocati truffaldini, innocenti ingiustamente accusati, decenni di carcere senza sconti, finti ciechi che si buttano sotto l’autobus per raddoppiare l’assegno di invalidità – poi tutto sfocia in un bell’abbraccio. C’è un cane chiamato Internazionale, che dovrebbe far ridere. Sergio Castellitto prosegue lo studio, avviato con “Italians” di Giovanni Veronesi, sui gesti e i tempi comici di Alberto Sordi. Rocco Papaleo – che i tempi li ha di suo, se si esclude il disastroso ballo della foca al Festival di Sanremo – soffre per un personaggio di sfigato che non gli consente granché. Insieme citano “La strana coppia”, Papaleo cucina con il grambiulino e riordina la casa di Castellitto. Nei momenti di stanca, quando vengono meno le battute e le gag visive, supplisce la colonna sonora.
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