
LA SPIA – A MOST WANTED MAN
C’erano una volta gli eroi, nel senso in cui li intendeva Vladimir Propp quando smontava le favole russe per scrivere la sua “Morfologia della fiaba”.
C’erano una volta gli eroi, nel senso in cui li intendeva Vladimir Propp quando smontava le favole russe per scrivere la sua “Morfologia della fiaba”. Personaggi che stavano saldamente installati nella loro storia, che avevano una missione da compiere, che incontravano ostacoli e tra mille difficoltà potevano contare su qualcuno (o qualcosa) pronto ad aiutarli. Poi è venuta la moda degli antieroi, e purtroppo Vladimir Propp non è più al mondo per raccontarli. Sono personaggi che stanno nella loro storia, ma a malincuore: ogni tanto sentono in dovere di ricordare al lettore o allo spettatore che potrebbero essere in un’altra storia. Personaggi che la loro missione la compiono con riluttanza e senza crederci troppo. Personaggi che in presenza di ostacoli fan finta di niente e vanno a sbattere la testa, quando perfino lo spettatore o il lettore più distratto avrebbe potuto avvertirli dell’errore. Personaggi che scelgono come alleati gentaglia che immancabilmente tradisce. La spia Philip Seymour Hoffman – in questo film tratto da un romanzo di John Le Carré che si intitolava “Yssa il buono” prima della ristampa – è il perfetto antieroe. Pedina come un dilettante, apre le buste preziose in macchina, afferra la metà di quel che succede attorno a lui. Siccome è uno degli ultimi film girati dall’attore, scatta in automatico il riflesso “grande interpretazione”. Non lo è, purtroppo, e spiace vederlo così appesantito e svogliato, sembra aver innestato il pilota automatico. Anche gli altri personaggi, dall’agente dei servizi segreti americani Robin Wright all’avvocatessa Rachel McAdams che difende gli immigrati sospettati di terrorismo, sono al limite della credibilità. Yssa Karpov si aggira con la felpa da barbone nella stazione di Amburgo, con una storiaccia alle spalle: il padre era un generale russo, lui è stato torturato in prigione, ha ereditato però una lettera e una chiave. Qui entra in scena il banchiere Willen Dafoe, oltre a un professore universitario musulmano che tra una lezione e l’altra raccoglie denaro, lui sostiene per beneficenza. Da quando gli è crollato sotto gli occhi il Muro di Berlino, e l’impero del male comunista non esiste più, John Le Carré ha trovato un nuovo nemico negli Stati Uniti. Un triste voltafaccia, che va di pari passo con la debolezza delle trame. Multinazionali e Cia sono i nuovi (e banalissimi) nemici.


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