TORNERANNO I PRATI

Mariarosa Mancuso

Le credenziali sono inappuntabili e zittiscono. Un maestro venerato per “L’albero degli zoccoli”, monumento alla cultura contadina che nella foga fece dimenticare una questione non marginale: sacrificare un albero per un paio di zoccoli tanto da contadini non pare.

    Le credenziali sono inappuntabili e zittiscono. Un maestro venerato per “L’albero degli zoccoli”, monumento alla cultura contadina che nella foga fece dimenticare una questione non marginale: sacrificare un albero per un paio di zoccoli tanto da contadini non pare (a noi cittadini almeno, che abbiamo sappiamo della vita campagnola e delle sue durezze per averne letto nei romanzi di Ferdinando Camon). Uno spunto autobiografico: il film è dedicato dal regista bergamasco al genitore che, bersagliere diciannovenne nelle carneficine del Carso e del Piave, da adulto rievocava “gli istanti terribili in attesa dell’ordine di andare all’assalto, e sai che la morte è lì, che ti attende sul bordo della trincea”. Un pacifismo senza riserve, che non contempla neppure lontanamente l’idea di una guerra giusta, e neppure – slittando dalla Grande Guerra alla seconda guerra mondiale – il fatto che i nazisti qualcuno li deve pur fermare. (“In materia di pacifismo sono agnostico”, confessa invece Alan Turing, il matematico che decrittò il codice tedesco Enigma nel film “The Imitation Game”, diretto da Morten Tyldum e in uscita a gennaio). Lo sguardo fisso sulla prima guerra mondiale dei poveri cristi. Hanno per nemici i propri superiori, e a una sicura morte sulla neve, con sicura agonia, preferiscono un suicidio in trincea (come accade nel racconto “La paura” di Federico De Roberto, traccia letteraria per un film che racconta episodi realmente accaduti). L’unità di tempo e di luogo: fronte Nord-Est, altipiano, un avamposto a pochi metri dalle linee austriache, una sola notte da incubo e di comandi insensati (fatte le debite proporzioni, torna il mente il “formicaio” di Stanley Kubrick in “Orizzonti di gloria”). Le proiezioni nei consolati, negli istituti di cultura, nelle ambasciate di cento paesi. L’anteprima al Quirinale, presente Giorgio Napolitano, purtroppo non il regista ricoverato per una polmonite. Le credenziali sono inappuntabili. Non altrettanto si può dire del soldatino-scugnizzo napoletano che nelle trincee del nord canta il repertorio, e anche gli austriaci gli urlano “bravo”. Né della poesia del larice che brucia e per un attimo sembra d’oro. Né di una recitazione più rigida che drammatica, forse colpa delle condizioni di lavoro: il regista, classe 1931, ha girato in altitudine per aver “facce da freddo”.