THE IMITATION GAME

Mariarosa Mancuso

I pantaloni tenuti su con lo spago. Il sopra del pigiama indossato sotto una giacchetta sportiva. La tazza per il té delle cinque assicurata con il lucchetto al temosifone.

    I pantaloni tenuti su con lo spago. Il sopra del pigiama indossato sotto una giacchetta sportiva. La tazza per il té delle cinque assicurata con il lucchetto al temosifone. La barba malfatta (usava un rasoio poco tagliente, per non svenire alla vista del sangue). La maschera antigas quando andava in bicicletta, perché soffriva di febbre da fieno. La bicicletta con un raggio difettoso che si impigliava nella catena (lui contava i giri della ruota, e con un’abile manovra reiterata impediva lo sganciamento). I denti giallastri, la carnagione scura, le unghie sporche, i polpastrelli mordicchiati a sangue. Il vero Alan Turing – il ritratto si legge nella biografia di Andrew Hodges, da Bollati Boringhieri –  poco somiglia a Benedict Cumberbatch. Hanno in comune la nerditudine che l’attore eredita da Sherlock Holmes, così come lo hanno reinventato Mark Gatiss e Steven Moffat nella fantastica serie andata in onda sulla Bbc. Il detective elabora alla velocità del fulmine le informazioni, il matematico che decifrò il codice Enigma usato dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale costruisce un calcolatore gigante: la macchina procede più spedita degli analisti con carta e penna (a patto che ci sia un genio a programmarla, e così fu). Benedict Cumberbatch risplende dentro un film – già si parla di Oscar – che non ha molti altri meriti, se non il cast e un’avventurosa storia rimasta a lungo segreta, qui raccontata dentro una cornice da martire gay. Turing denunciò un furto in casa, commesso da un conoscente, e nella sua ingenuità si lasciò scappare qualche dettaglio sulla sua vita privata. Seguì un processo, la scelta tra la galera e una pesante cura ormonale che lo sconvolse, il suicidio con una mela intinta nel cianuro (nel 1938 a Cambridge aveva visto “Biancaneve e i sette nani”, e per anni continuò a cantarne il ritornello: “Metti, metti la mela nell’intruglio”). Era noto invece il pionieristico lavoro di Alan Turing negli studi sull’intelligenza artificiale: il gioco dell’imitazione che fornisce il titolo è un esperimento mentale per distinguere gli umani dalle macchine. Sarebbe stato cortese spiegarlo allo spettatore, invece di regalare al genio un matrimonio mai celebrato con Keira Knightley. E’ vero invece che la ragazza – vero nome Joan Clarke – entrò tra i geni decifratori di Bletchley Park risolvendo a razzo un difficile cruciverba.