SELMA – LA MARCIA PER LA LIBERTA'

Mariarosa Mancuso

Né con gli storici, che vorrebbero film corretti ma noiosi, e qualche appunto lo hanno fatto anche al magnifico “Lincoln” di Steven Spielberg.

    Né con gli storici, che vorrebbero film corretti ma noiosi, e qualche appunto lo hanno fatto anche al magnifico “Lincoln” di Steven Spielberg (una caccia all’ultimo voto raccontata con pragmatismo politico e la magnifica scrittura di Tony Kushner, Pulitzer 1993 per “Angels in America”). Né con la regista, che invece di festeggiare la candidatura all’Oscar come miglior film accusa i giurati di razzismo per le candidature che le sono state sottratte (l’anno scorso vinse “12 anni schiavo” di Steve McQueen, i giurati non parrebbero avere nell’armadio il cappuccio del Ku Klux Klan). Terza via: fastidio per un film che racconta la sacrosanta marcia da Selma a Montgomery – i neri avevano diritto al voto, ma bisognava prima registrarsi, i funzionari negli stati del sud usavano il loro potere per impedirlo – con l’estetica stabilita per le marce popolari da “Il Quarto Stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo, anno 1901. Altro punto di riferimento. le fotografie di Gordon Parks: un giovanotto che partì dal Kansas, comprò una macchina fotografia da 25 dollari, cominciò a lavorare nella moda e arrivò a Life. Gli dobbiamo il ritratto della donna delle pulizie nera con scopa e strofinaccio, sullo sfondo la bandiera a stelle e a strisce, remake fotografico dell’“American Gothic” dipinto nel 1930 da Grant Wood (l’originale ha il contadino del Midwest con il forcone). Gli storici sostengono che Lyndon B. Johnson non era contrario al Voting Rights Act come invece mostra il film: voleva soltanto trovare il giusto momento nell’agenda politica. Ava DuVernay controbatte: celebrando la sapienza politica e il senso di Johnson per i tempi si rosiscchia il merito di Martin Luther King (qui sottoposto al trattamento “eroe senza macchia”: non resta traccia delle sue numerose avventure se non mezza battuta di dialogo, potrebbe essere la fantasia di una moglie gelosa). Pellizza da Volpedo fa sempre la sua figura, nei film in cui si avanza verso il sole dell’avvenire – Bernardo Bertolucci in “Novecento” aprì la strada. almeno, Finché la retorica e il gusto per l’inquadratura esemplare non vengono a noia. David Oweloyo – quasi sempre in canottiera, tranne quando va alla Casa Bianca – una candidatura all’Oscar la meritava. Nella categoria che ancora non esiste, e qui vogliamo introdurre: “Attori migliori del film in cui recitano”.