La felicità è un sistema complesso

Mariarosa Mancuso

    Aboliamo i saggi di danza. Sono un incubo per i genitori, che arrivano sempre in ritardo (e le figlie non dimenticano, andranno per anni dallo psicanalista, se sono maschi sarà lo spettacolino scolastico, identici drammi sono in agguato, poi si tengono tutto dentro, non piangono come le femmine perché si vergognano, ma è pure peggio). L’abbiamo imparato al cinema: un posto vuoto in platea, già sentiamo aria di tragedia. In “La felicità è un sistema complesso” papà e mamma non arrivano proprio, son finiti fuori strada con la macchina. Gli orfani adolescenti Filippo e Camilla – sono i veri nomi degli attori Filippo De Carli e Camilla Martini, ma suonano fasulli come una scorciatoia di sceneggiatura, figli di ricchi battezzati secondo la moda del momento – si ritrovano con l’azienda familiare da gestire. Entra Valerio Mastandrea, insinuante e carico di proposte che non si possono rifiutare. Dovrebbe funzionare così: gli eredi senza esperienza son ben contenti di farsi da parte, in cambio di un po’ di soldi, l’azienda sarà diretta da gente con esperienza, non da irresponsabili che mettono in pericolo i posti di lavoro. A riprova della nostra teoria sui nomi usati come scorciatoia di sceneggiatura, l’uomo della proposta si chiama Giusti. Ed è in effetti un aiutino fornito allo spettatore: se no sembrerebbe un avvoltoio intenzionato – neanche in proprio, per conto terzi – a rilevare con pochi soldi aziende che passano un momento difficile. Soltanto in un secondo momento viene fuori l’Edipo non risolto e la preoccupazione per gli imprenditori socialmente pericolosi, che dopo aver fatto danni scappano all’estero. Aspettavamo un film di Gianni Zanasi dal bellissimo “Non pensarci” (anno 2007, accanto a Mastandrea già c’era Giuseppe Battiston). Spiace che sia così confuso, a tratti respingente, con momenti geniali (oltre che divertenti) e momenti di stanchezza mista a indecisione. Vale soprattutto per la sottotrama “sono un tipo solitario, poi arriva una ragazza strana, e io divento un po’ meno scorbutico”. La fanciulla è Hadas Yaron, attrice israeliana, premiata con la Coppa Volpi a Venezia “La sposa promessa” (la  ritirò scollatissima, dopo la parte da ebrea ortodossa nel film diretto dall’ebrea ortodossa Rama Burshtein). Finiscono a impastare torte, e questa è un’altra scena vietatissima, per suggerire che il cinismo sta virando in tenerezza.