10 CLOVERFIELD LANE

Mariarosa Mancuso

Dicono sia costato cinque miseri milioni di dollari. E’ certo invece che al botteghino internazionale ne ha incassati più di cento. Per chi vuole investire nel cinema, l’horror resta uno dei settori più redditizi, basta una storia appena un po’ originale (abbiamo sempre paura del buio, del chiuso e dell’ignoto, come i nostri antenati). Tra gli sceneggiatori, Damien Chazelle che aveva scritto e diretto “Whiplash”, protagonista un giovane batterista jazz con le mani sanguinanti per troppo esercizio. In questo caso hanno risparmiato anche sulla pubblicità, cambiando il titolo da “The Cellar” – lo scantinato – in “10 Cloverfield Lane”. Ne risulta un film imparentato con “Cloverfield” diretto da Matt Reeves e prodotto da J. J. Abrams, nome che dopo “Lost” funziona meglio di un marchio di fabbrica (qualcuno parla di “cuginanza”, altri di “consanguineità”, con il film dei mostri che distruggevano New York, ripresi dalla telecamera amatoriale). Non esiste vero orrore senza una damigella in difficoltà – qui la bella attrice Mary Elizabeth Winstead che raccatta un po’ di roba, la mette in valigia e scappa con la macchina. Si capisce che ha litigato con un uomo (nella versione originale ha la voce di Bradley Cooper, nel film la sua faccia non si vede mai). Ed è sconvolta abbastanza da finire fuori strada. Si risveglia piuttosto malconcia in uno scantinato, subito sentiamo puzza di maniaco fornito di machete o raffinati strumenti per sevizie. Arriva John Goodman, strepitoso come sempre. Adattissimo a un ruolo che prevede qualche delirio sui russi (o forse potrebbero essere i marziani): un attacco nucleare ha reso irrespirabile l’aria. Gli unici sopravvissuti, sostiene, devono stare ben nascosti sotto terra (e lui appunto si presenta come salvatore della ragazza da sicuro avvelenamento). Il luogo claustrofobia – dopo un po’ arriva un altro giovanotto, e si sa che le relazioni triangolari sono più complicate, e il diavolo o forse angelo John Goodman – ordina agli ospiti “dovreste mangiare, dormire, e mostrare un po’ di gratitudine” – sono un bel punto di partenza per un film che tiene abbastanza sulle spine, sfoderando ironia nei punti giusti. Se vi va di stare al gioco: un po’ di complicità in questi casi serve. Aumentano la tensione – che qui coincide con il divertimento – le bugie e i maldestri tentativi di fuga.

 

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