ALICE ATTRAVERSO LO SPECCHIO

Mariarosa Mancuso

Povera Alice (e povero Lewis Carroll): da fanciulla sperduta l’hanno promossa a supereroina. Quando un film supera il miliardo di dollari incassati (a fronte di 200 milioni investiti) e vince due Oscar – sia pure decorativi, scenografia e costumi – è difficile resistere alla tentazione del bis. Sono passati perfino troppi anni dal 2010, nel frattempo il regista Tim Burton ha fatto un passo indietro (compare nei crediti soltanto come produttore) lasciando il timone a James Bobin. Partenza tempestosa con Alice capitana di vascello, tra scogli e pirati al chiaro di luna, per un attimo abbiamo il dubbio di aver sbagliato film. Poi ricordiamo che l’intrepida alla fine del capitolo precedente si era liberata di un antipatico fidanzato ed era partita per la Cina (povero Lewis Carroll, di nuovo, cosa non si fa perché Mia Wasikowska possa dichiarare nelle interviste “la mia Alice è femminista, un modello per le ragazze d’oggi”). Un supereroe ha sempre una missione da compiere: qui bisogna salvare il Cappellaio Matto, per incarico della Regina Bianca (sarebbe anche più utile salvare Johnny Depp – che lo interpreta – dai truccatori: le sopracciglia sono sempre più arancioni, tra altre sfumature da trip psichedelico, abbiamo diritto anche alla versione color gesso, quando le cose per lui si mettono male). Una ragazza come Alice che respinge il fidanzato, comanda una nave, fugge al di là dello specchio inseguendo il brucaliffo (che le ricorda l’importanza degli amici) ha tutti i sintomi necessari a una diagnosi di isteria, e anche il medico delle matte arriva puntuale. Effetti speciali a fortissima tendenza kitsch, più ancora del film precedente, applicati all’intero catalogo delle meraviglie. Il gatto del Cheshire che si lascia dietro solo il sorriso, i gemelli Tweedeldee e Tweedeldum (ribattezzati Pinco e Panco), il Bianconiglio, il Leprotto Marzolino, la Regina Rossa sempre più calva (altra palettata di trucco). New entry, il Tempo: una creatura mezza uomo e mezza orologio, molto sputasentenze, con scagnozzi che stanno tra i minions e i transformers, e uno sfondo che ricorda “Hugo Cabret” (l’attore è Sacha Baron Cohen, non basta per cancellare la magra figura di “Grimsby”. Nessuna parentela con l’originale di Lewis Carroll, restano aperte le scommesse sulle droghe e altri aiutini forniti dalla Disney al regista e alla sceneggiatrice.

 

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