JASON BOURNE

Mariarosa Mancuso

Se ne sentiva il bisogno? Francamente no, ma lo smemorato più famoso del cinema – esce dai bestseller di Robert Ludlum, sugli schermi dal 2002 – ha ancora il suo bel potenziale. Parliamo di incassi, ovviamente. Parlando di trama, ha già avuto un momentaccio quando lo spinoff con Jeremy Renner  “The Bourne Legacy” (diretto da Tony Gilroy che aveva sceneggiato i tre capitoli precedenti) cercò di finirla con l’accanimento sulla stessa vicenda. Trattasi di agente della Cia addestrato come arma micidiale, compiuti i misfatti gli viene cancellata la memoria. Dopo tre film, Jason Bourne ha disseppellito il suo passato, abbastanza per sapere che non ne va fiero: la conta dei cadaveri dietro di lui richiede almeno tre cifre, quindi la crisi esistenziale lampeggia sullo sfondo. In “Jason Bourne” – ormai basta il nome – gli sceneggiatori hanno aggiunto un cattivo digitale (si porta, di questi tempi, con tutte le informazioni che lasciamo sui social network qualcuno vorrà pure approfittarne). Con un tocco di esotismo: l’attore è Riz Ahmed, rapper britannico di origini pachistane, giusto per non farlo somigliare troppo a Mark Zuckerberg che alla propria privacy tiene moltissimo.

 

Hanno aggiunto qualche risvolto edipico, sempre stuzzicante: anche papà aveva i suoi segreti. Sullo sfondo, l’attualità politica: la scena che vale il prezzo del biglietto è stata girata ad Atene, Piazza Syntagma, tra dimostranti e poliziotti. Da Paul Greengrass, regista che nelle situazioni complicate ha un comando assoluto della macchina a mano. Lo aveva fatto in “Bloody Sunday” – la Pasqua insanguinata a Derry, esercito britannico contro manifestanti pacifici – e in “United 93” (l’aereo dell’11 settembre fatto precipitare dai passeggeri, che intanto mandano gli ultimi messaggi ai familiari). Dopo il bel tour de force, non si spiega la baracconata di Las Vegas: macchine come birilli, aspettiamo solo che finisca, tanto si sa chi alla fine vince. Matt Damon parla anche meno del solito, mentre la Cia si allarga. Non esistono in questo film personaggi che non siano legati all’agenzia. Lì ci sono i cattivi, i buoni, i traditori, i vendicatori, i pentiti, i dubbiosi, i carrieristi, i delusi, i doppiogiochisti, quelli che ancora ci credono. Se aggiungono un altro capitolo sarà della Cia anche la cassiera del supermercato, sotto copertura a battere scontrini.

 

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