ANIMALI NOTTURNI
di Tom Ford, con Jake Gyllenhaal, Amy Adams, Aaron Taylor-Johnson, Michael Shannon
Straordinario il romanzo di Austin Wright, “Tony & Susan”. Buono il film che ne ricava Tom Ford, il suo secondo dopo “A Single Man”, dal romanzo di Christopher Isherwood: allo stilista le passerelle stanno strette e saccheggia il catalogo Adelphi. Lo scarto nel giudizio dipende da una questione tecnica. Il romanzo gira intorno a un manoscritto intitolato “Animali notturni”, corredato da un bigliettino che invita Susan a leggerlo. Glielo spedisce l’ex marito Edward, che avrebbe sempre voluto fare lo scrittore ed era stato da lei ripetutamente dissuaso: “Ti ho letto, non sei abbastanza bravo”. Susan comincia a leggere il manoscritto del consorte, e nello stesso momento anche noi lettori cominciamo a leggere le stesse pagine. Siccome si tratta di un thriller – viaggio in macchina di notte con la famiglia, teppisti o forse criminali, scelte azzardate, codardia - noi condividiamo i brividi di Susan. Unica differenza: lei aggiunge il rancore per un talento maritale improvvisamente sbocciato e messo al servizio di una storia che non la fa dormire la notte, mentre si trova sola in casa. Comincia a covare il sospetto che non si tratti soltanto di fiction, troppi dettagli le ricordano la vita coniugale. O forse è tutta immaginazione. Il gioco della lettura parallela non si può fare al cinema, e Tom Ford neppure ci prova, segnando il primo punto a suo favore (un regista deve sapere cosa non fare, per non mettersi nei guai da solo). Quel che succede nel manoscritto lo vediamo accadere sullo schermo, con Jake Gyllenhaal nel ruolo di Tony, capofamiglia alla guida dell’auto per il trasferimento notturno. Con mossa azzeccata, Tom Ford trasporta la storia a New York, trasformando Susan da moglie con la ricrescita in gallerista di successo (l’attrice è Amy Adams). Apre il film con majorette anziane, nude e obese che ballano al rallentatore. Poi le vediamo stese a terra, erano un’installazione artistica. Grande impatto visivo, che arricchisce il film e restituisce quel che va perso con la faccenda del manoscritto. Addio kitsch melassoso sfoderato in “A Single Man”, con Colin Firth che sceglieva gli accessori giusti prima di suicidarsi.