TI AMO PRESIDENTE
di Richard Tanne, con Parker Sawyers, Tika Sumpter, Vanessa Bell Calloway
Film da primo appuntamento. Non tanto per gli spettatori: sarebbe difficile competere con gli sforzi (“lo spettacolo d’arte varia di un uomo innamorato di te”, copyright Paolo Conte) messi in atto da Barack Obama per vincere la resistenza di Michelle Robinson. Il primo appuntamento sta nell’album della coppia presidenziale (ancora per poco, ma resta la speranza di vedere Michelle alla Casa Bianca e Barack nel ruolo di First Gentleman: si capirà allora quanto ha contato contro Hillary il fattore D). “Non è un appuntamento", precisa Michelle, che dopo la fatica fatta per entrare alla Sidley Austin di Chicago, colosso dell’avvocatura dove le donne nere non erano la prima scelta, non voleva ripartire dal via fidanzandosi con lo stagista affidato alle sue cure. Il giovanotto, intelligente oltre che fascinoso, la invita di pomeriggio in chiesa, per un meeting della comunità nera di Southside. Bara sull’orario e la va a prendere con un’auto tanto vecchia che da un buco dell’abitacolo - lato passeggero - si vede l’asfalto. Santino è dire poco, per lo spettacolo messo in scena dal regista (pagante, al Sundance Film Festival lo hanno applaudito, i critici americani lo hanno ben recensito, Rolling Stone scrive “capolavoro”). “Walk and talk” in versione romantica, più “Prima dell’alba” (e seguiti) di Richard Linklater che corridoi della Casa Bianca in “The West Wing” di Aaron Sorkin. Qualche dettaglio è stato spiattellato dalla coppia – sapevamo che erano andati a vedere il film di Spike Lee “Fa’ la cosa giusta”. Il regista – nonché sceneggiatore e produttore, avrebbe fatto anche l’attore ma scarseggiavano qui i ruoli per i bianchi - rimpolpa il rimpolpabile, immaginando una discussione post-cinema minuziosa come un’autopsia. Tranne all’inizio – con Michelle che si veste troppa cura per un non-appuntamento, Barack che fa tardi fumando in canottiera davanti alla tv – non c’è scena dove si discuta di neri e di bianchi. Visitano L’Art Institute, ammirando (e discutendo, di nuovo) una mostra del pittore afroamericano Ernie Barnes. Altra licenza poetico-politica: nel 1989 c’era in mostra l’americano di origine polacca Andy Warhol.