SILENCE
di Martin Scorsese, con Andrew Garfield, Liam Neeson, Adam Driver, Issei Ogata, Yoshi Oida
Abbiamo pregato perché il nuovo anno portasse con sé almeno un film per spettatori adulti (esaminata la lista delle prossime uscite, nulla era garantito se non supereroi e seguiti). Martin Scorsese ha esaudito le nostre preghiere. “Silence” parla di Fede e non di Forza, già un bel progresso. Se uno vuole credere in qualcosa, prima dei cavalieri Jedi con le spade laser c’era parecchio materiale spirituale tra cui scegliere (fine del commento che farà arrabbiare i fan di “Star Wars”, ci abbiamo fatto l’abitudine). Con qualche ripetizione e qualche tocco kitsch, “Silence” racconta i gesuiti che portarono il cristianesimo nel Giappone feudale, i primi missionari arrivarono a metà del 1500 e furono espulsi con un editto nel 1614. Qualcuno rimase, a rischio della vita. A volte anche della sanità mentale (man mano che il film procede, ricorda il colonnello Kurtz in “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad). Padre Ferreira, per esempio: se ne sono perse le tracce a Nagasaki e le voci dicono “abiura”. Non ancora: lo stanno torturando con acqua bollente e i mestolini bucati. Seguiranno altre sevizie creative: i samurai sono decisi a estirpare la malapianta. Da qui il dialoghetto teologico tra l’inquisitore Inoue e Sebastian Rodrigues, uno dei due gesuiti portoghesi che nel 1643 si fece contrabbandare in Giappone per salvare il soldato di Cristo Padre Ferreira. “Silence" parte magnificamente: i due trovano un villaggetto di cristiani, vengono accolti come divinità (il locali si privano del già scarso cibo, “siete voi il nostro nutrimento”), ascoltano confessioni di cui non capiscono una parola. I 46 milioni di dollari spesi, il romanzo di Shusakdu Endo (Corbaccio), un giapponese strepitoso come Issei Ogata aiutano, e quasi fanno dimenticare le facce troppo moderne dei gesuiti Andrew Garfield e Adam Driver (Liam Neeson è perfetto). I giapponesi hanno la mano pesante, e la voce di Dio non si sente mai. “Speriamo che almeno ascolti le nostre sofferenze”, ripetono tutti, giacché un segno non arriva. E se non fosse fede, ma umana troppo umana ostinazione, o superbia o arroganza? Quanti cristiani devono morire, per rispetto di un’immagine sacra?