RIPARARE I VIVENTI
di Katell Quillévéré, con Emmanuelle Seigner, Bouli Lanners, Tahar Rahim
La versione cinica era in un romanzo di Michael Marshall Smith intitolato “Ricambi”. Un po’ avanti nel futuro, ma neppure troppo, esisteranno Fattorie per Ricambi: allevamenti di esseri umani a scopo di trapianto. Non per tutti, solo per i ricchi che possono permettersi un clone (così da evitare ogni problema di rigetto). La storia torna nel romanzo “Non lasciarmi” di Kazuo Ishiguro, cambiando il punto di vista: via il guardiano della fattoria, entrano i cloni che con orrore scoprono il loro destino. Ne esiste una versione thriller in “Debito di sangue” di Michael Connelly (dal romanzo Clint Eastwood ha ricavato un film): dopo il trapianto di cuore, un agente dell’Fbi cerca l’assassino del ragazzo che gli ha restituito la vita. “Riparare i viventi” di Maylis de Kerangal riarrangia il materiale in una cover che con astuzia si colloca tra sentimento e ambizioni letterarie. Per capirci: un bestseller (Feltrinelli) e una candidatura all’International Booker Prize 2016 (vinto dalla coreana Han Kang con “La vegetariana”).
Cerca di azzeccare lo stesso mix la regista Katell Quillévéré, francese nata in costa D’Avorio, con un ricco cast di attori francofoni. Da Emmanuelle Seigner al belga Bouli Lanner, passando per Tahar Rahim: il giovanotto che nel film di Jacques Audiard “Il profeta” entrava in carcere ingenuo e ne usciva criminale. Si stenta a riconoscerlo, con il camice addosso, quando cerca di convincere i genitori del diciassettenne in stato di morte celebrale a dare il consenso per donare gli organi. Li rassicura, “chiede cosa posso fare di speciale per voi?”, garantisce una perfetta ricucitura del corpo, e salva gli occhi. Non è spoiler: dovete sapere cosa vi aspetta una volta entrati in sala operatoria. Nessun dettaglio viene risparmiato. La scrittrice se ne fa un vanto, nelle interviste racconta l’emozione del cuore che ricomincia a battere nel nuovo corpo. La regista non si tira indietro. Avevamo visto il viaggio in elicottero e la borsa termica in “Tutto su mia madre” di Pedro Almodovar, qui c’è anche la lavagna per lo smistamento degli organi, e un ritratto – privo di ritmo come i flashback – della cardiopatica che riprenderà a vivere.