BARRIERE

di Denzel Washington, con Denzel Washington, Viola Davis, Russell Hornsby, Stephen Henderson

Mariarosa Mancuso

Si può dire? Non si potrebbe, ancora è caldo di polemica l’hashtag #oscarsowhite. Da qui la certificata negritudine di tre film candidati all’Oscar supremo su nove (più gli attori e le attrici, più l’asiatico “Lion” con Dev Patel). “Moonlight" di Barry Jenkins apre la sfilata, favoritissimo (gareggia in commozione con “Manchester by the Sea” di Kenneth Lonergan: ma trattasi di famiglia bianca, un handicap). “Il diritto di contare” di Theodore Melfi segue: ai gay subentrano le matematiche che negli anni 60 alla Nasa calcolavano le traiettorie. E appunto “Barriere” di Denzel Washington, dal testo teatrale di August Wilson, premio Pulitzer nel 1987. Da allora qualche regista di buona volontà cerca di trarne un film, ma il drammaturgo – morto nel 2005 – pretendeva un nero. Si offre volontario Denzel Washington: ha fatto le prove in teatro accanto a Viola Davis vincendo un Tony Award per il migliore revival. Nelle repliche hanno perfezionato tutte le appoggiature, tutte le sfumature, tutte le pause, tutti i vezzi da mattatori utili a strappare l’applauso. Rifanno tutto al cinema, non è un bel vedere. Un conto sono i personaggi sul palcoscenico, un altro è il faccione di Denzel Washington in primissimo piano con l’inquadratura tonsille. Un conto è piazzarsi davanti a una casa di cartapesta per un litigio tra marito e moglie, un altro è rendere la lite credibile in una cucina a Pittsburgh. Un conto è singhiozzare perché il maschio nero esibisce rigidità da dittatore, più che da capofamiglia, un altro è piangere con il moccio che cola dal naso (specialità di Viola Davis, ebbe la sua prima candidatura all’Oscar come attrice non protagonista per “Il dubbio”: piangeva con il moccio). A chi celebra “Barriere” in nome della vita vera (contro il musicarello “La La Land” di Damien Chazelle, il critico collettivo ha colto l’occasione per inneggiare al realismo) andrebbe detto che nessuna ex promessa del baseball – ripiegato netturbino – parla a quel modo, cammina a quel modo, tratta gli amici a quel modo. Perfino quando maltratta la moglie si mette in posa. Compiaciuto di sé parla, parla, parla: in teatro è necessario, al cinema no.

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