La magra estate americana tra supereroi e remake
Per fortuna c’è un horror che fa sognare, “It Comes at Night” girato da Trey Edward Shults
Jordan Peele lavora a una serie di social horror, non vediamo l’ora dopo il godimento procurato da “Scappa - Get Out”. Un giovanotto nero va a trovare i genitori della fidanzata bianca, e si ritrova invischiato – letteralmente, come gli uccellini con le zampette sul ramo appiccicoso di vischio – in un macabro pasticcio familiare scandito da gli stereotipi sui neri (sesso, ritmo, sport, forza, giusto per avere un’idea). Uno dei pochi film di soddisfazione visti quest’anno. I primi sei mesi sono stati di magra, e anche l’estate americana lo sarà, tra supereroi e remake. È appena arrivato l’ultimo “Pirati dei Caraibi, si annunciano un altro Spider-Man (da ragazzino brufoloso), un altro “Pianeta delle scimmie”, un altro “Cattivissimo me”, un altro “Transformers”. Il più inutile di tutti, deve essere dannatamente generazionale, non abbiamo mai capito cosa ci sia di interessante nel vedere tostapane e altri piccoli elettrodomestici che esplodono in un ammasso di ferraglia e combattono (l’ipotesi crolla quando scatta l’applauso per “Guardiani della Galassia 2”: altrettanto generazionale, ma intelligente).
Per fortuna c’è un horror che fa sognare, “It Comes at Night” (nelle sale Usa da ieri, dopo il successo lo scorso aprile all’Overlook Film Festival, Overlook come l’hotel di “Shining”). Lo ha girato Trey Edward Shults, per la casa di produzione A24, già etichettata come spacciatrice di “prestige horror” dopo “The Witch”. Costato pochi soldi, faceva paura andando al cuore della stregoneria “storica”: l’accusa è tutto, se ti etichettano come strega non esiste modo di provare che non lo sei.
“Lasciate ogni speranza voi che entrate al cinema”, scrive A. O. Scott nella recensione di “It Comes at Night” sul New York Times. Più che promettente, l’ultima generazione di film dell’orrore puntava piuttosto sullo splatter, non sulle paure che inseguono lo spettatore quando torna a casa dopo lo spettacolo. Padre madre e figlio adolescente vivono in una villa isolata nella foresta, il nonno è morto per una misteriosa malattia. Peste - o qualcosa di ugualmente contagioso e devastante, come suggerisce “Il trionfo della morte” di Pieter Bruegel il Vecchio che fa bella mostra di sé nel trailer (una riproduzione dello stesso dipinto - in “Underworld” di Don DeLillo - svolazza nello stadio durante una partita di baseball facendo rabbrividire l’ipocondriaco capo dell’FBI J. Edgar Hoover).
Una porta rossa separa la casa dall’esterno, uno sconosciuto bussa. Chiede acqua e cibo per la moglie e per il figlio. Accoglierlo? Respingerlo? Fidarsi dell’estraneo o lasciar morire l’altra famiglia di fame e di sete? Chi vincerà, il terrore o quel che rimane del contratto sociale? Già vengono i brividi, aggravati dalle recensioni che immancabilmente riferiscono la frase: “Non sai di cosa sono capaci gli uomini, quando sono disperati”.
Politicamente corretto e panettone