Un appuntamento per la sposa
Regia di Rama Burshtein, con Noa Koler, Amos Tamam, Oz Zehavi, Dafi Alferon
In “Cose molto cattive” Cameron Diaz minaccia di morte chiunque voglia ostacolare la sua passeggiatina “in quella maledetta navata”. Si intende: al ritmo della marcia nuziale. Invece dell’oroscopo o della chiromante, in “Appuntamento con la sposa” sono le interiora di pesce (debitamente decifrate da un’esperta) a suggerire che la sincerità e la fede condurranno immancabilmente al matrimonio. In effetti – siamo alla scena numero due dopo la lettura del pesce sventrato, non sembra essere passato molto tempo – il marito arriva. Appena prenotata la sala per il ricevimento, il promesso sposo confessa “non sono innamorato di te”. Fine dell’idillio, e inizio della cocciutaggine (la protagonista preferisce dire “fede”): mancano 22 giorni, un marito arriverà. Anche il secondo film di Rama Burshtein – nata a New York, trasferita in Israele, si è fatta ortodossa da adulta e ha girato film educativi per la comunità, prima di farsi notare alla Mostra di Venezia nel 2012 – gira intorno a un matrimonio. “La sposa promessa” raccontava una ragazza costretta a sposare il cognato, dopo che la sorella era morta di parto (rinunciando al matrimonio con un bel giovane appena intravisto al supermercato: “Di là, al reparto latticini”, sussurrava il sensale). Siccome in un film non contano i messaggi e neppure le ideologie, era bellissimo (l’attrice Hadas Yaron, scollata fino all’osso sacro, ritirò la Coppa Volpi accanto alla regista con la palandrana, nessuna delle due sembrava turbata). Appuntamenti al buio, uno dopo l’altro: pretendenti delle categorie già viste nelle commedie americane, più qualche specialità locale. Molto fascinosi, va detto, con barbe e cernecchi, o con il berrettino in lana da cantautore. I giorni passano e l’impresa sembra impossibile. A differenza di “La sposa promessa”, che aveva una splendida fotografia e un budget adeguato, “Appuntamento con la sposa” ha un’attrice bravissima – Noah Koler, infagottata nei più brutti abiti mai visti sullo schermo – e riprese più povere, da cinema indipendente. Ma la storia funziona, l’ostinazione (o la fede) trascina, i dialoghi si intrecciano bene con il gusto del racconto per immagini.