Nuovo cinema Cav.
Indizi e pettegolezzi sul prossimo film di Sorrentino dedicato all’Amor nostro. Per evitare la farsa felliniana con tocchi da Bagaglino, l’unica è che il protagonista sia anche lo sceneggiatore
Andrà a finire come con “Il divo”, premio della giuria al Festival di Cannes 2008. “Magnifica sceneggiatura” commentavano i giornalisti stranieri, sperticandosi in lodi a Paolo Sorrentino (allora scriveva da solo, Umberto Contarello era in marcia di avvicinamento, nel film ha la particina di un deputato senza nome). Ripetevano le battute, ammiravano i siparietti comici, restavano affascinati dalla proposta di matrimonio fatta alla fidanzata Livia passeggiando tra le lapidi del Verano. Fu una fatica convincerli che il materiale era puro Giulio Andreotti, a lui sarebbero dovuti andare gli applausi – e anche un po’ del premio (il senatore a vita non la prese benissimo e parlò di “mascalzonata”, prima di riacquistare il dovuto aplomb). Va aggiunto che i forestieri, ignari del Bagaglino e dell’imitazione che Oreste Lionello faceva di Andreotti, tolleravano meglio il grottesco mascherone con le orecchie da vampiro.
E’ un’idea brillante ambientare una richiesta di matrimonio al cimitero (ancor più nella superstiziosa Italia). Brillante, se l’idea viene allo sceneggiatore. Se viene al personaggio – il primo della serie di papi, qualcuno solo Young qualche altro Forever Young, a cui Sorrentino sta dedicando le sue cure, ora la fissazione è chiara – lo sceneggiatore può solo rovinarla. Magari sbagliando i tempi, che nella comicità son tutto. O il tono, che nel cinema risulta altrettanto cruciale.
Come per il film
su Andreotti, "Il Divo", toccherà di nuovo spiegare alla stampa estera che il regista
non si è inventato niente
E’ un’idea brillante caratterizzare il protagonista con un malanno. Ma Giulio Andreotti lottò davvero tutta la vita con l’emicrania, prendendo per un paio d’anni le anfetamine che gli davano sollievo (le aveva scoperte dal dentista). E brigò quel che era in suo potere di brigare perché non le mettessero fuorilegge. “Grazie, non ho vizi minori”, detto per rifiutare un sigaro, è battuta altrettanto andreottiana, come il male che bisogna commettere per arrivare al bene, e i pensieri maligni che sono peccato ma ci azzeccano. Fin qui per i dettagli soft, essendo l’hard una presenza ininterrotta in Parlamento dal 1945 al 2013, sette presidenze del Consiglio, processi & dietrologie & misteri italiani assortiti.
Succederà lo stesso con il film che Paolo Sorrentino sta girando su Silvio Berlusconi. Lo vedranno ai festival internazionali, e diranno “complimenti allo sceneggiatore, per la fantasia, l’inventiva, il gusto per la battuta e la barzelletta, l’accurato studio sugli annessi e connessi del potere, la costruzione del personaggio tra successi immobiliari e televisivi, gli scandali, la capacità di reinventarsi”. Toccherà di nuovo spiegare che lo sceneggiatore occulto è Silvio Berlusconi medesimo. Quando i papi (non giovani ma eternamente giovani, nel caso specifico) non contribuiscono con il loro talento da uomini di spettacolo a Sorrentino non riescono altrettanto bene.
Fa da controprova Jep Gambardella di “La grande bellezza”, scritto dal regista insieme a Umberto Contarello: dovrebbe essere un dandy dalla battuta fulminante, collocato tra Ennio Flaiano e Raffaele La Capria. Non pronuncia una sola battuta memorabile in tutto il film, indossa completi più sgargianti che eleganti, fallisce il titolo dell’irripetibile capolavoro – “L’apparato umano”. Quando ricorda il primo amore non consumato è la caricatura dell’intellettuale italiano di provincia, che appena smette di parlar difficile tende al romanzo rosa. Riesce meglio Roma, con il contributo della città e delle inquadrature felliniane: altri sceneggiatori occulti assenti dai crediti.
Per passare dalla teoria alla pratica. Ultima cena berlusconiana conosciuta, elegante ça va sans dire (risale a qualche giorno fa). Piatti di pesce, e fin qui tutto bene. Torta alta quasi due metri, a sei piani. Chissà quanto hanno dovuto pagare alla Disney per i diritti: c’erano Topolino, i cani dalmata di “La Carica dei 101”, Peter Pan e i personaggi di “La spada nella roccia”, dicono le cronache (anche qualche altro film, a giudicare dalle fotografie). Compleanno di qualche nipotino, tra i molti che lo allietano? Macché: era il compleanno della fidanzata, poco più che trentenne.
Quando ricorda il primo amore non consumato Jep è la caricatura dell'intellettuale italiano di provincia. Riesce meglio a Roma
Stacco di montaggio sull’ultima gag berlusconiana, scartata all’ultimo minuto perché il paese è in crisi e non ha voglia di scherzare (la rivedremo a tempo debito, i bravi comici sanno quanto il loro pubblico può reggere e non vanno oltre). Presentarsi da Bruno Vespa a “Porta a porta” curvo, zoppicante e con il bastone a sostegno della vecchiaia. Fare un discorsetto sul tema “è ora di lasciare il posto ai giovani”. Rialzarsi, scagliare via il bastone con un colpo di teatro e annunciare “sono ancora qua, lucido e vispo” (forse potrebbe perfino ricompattare la sinistra presentandosi come nemico comune, se si mettesse d’impegno). E tutto questo prima di andare a fare il lussuoso tagliando – remise en forme, si chiama così – da 100.000 euro. Spariscono al confronto il grande albergo di Davos dove il musicista Michael Caine e il regista Harvey Keitel lamentano lo stato delle rispettive prostate, pure l’albergo luganese dove Toni Servillo in “Le conseguenze dell’amore” si droga ogni settimana adocchiando la cameriera carina.
Nel film di Sorrentino vorremmo vedere il backstage della fotografia scattata da McDonald: dottore si metta così, prenda in mano il menu, voi della scorta per favore tenetevi fuori campo”. In gara con la fotografia di Barack Obama, che mangia il suo hamburger nell’unico fast food al mondo con un un manifesto del film “Il gabinetto del dottor Caligari” appeso alla parete. (Sì, l’incubo del cineforum aziendale fantozziano governato con piglio dittatoriale da Guidobaldo Maria Riccardelli). Altro backstage imperdibile: gli agnelli pasquali salvati da sicuro arrosto, con l’appendice boldriniana: la presidente della Camera che rivendica la genuinità dei propri ovini. Che puzzano, fanno le cacche nelle stanze del potere e hanno i riccioli giallognoli, non li hanno passati al candeggio come ad Arcore.
Altra scena imperdibile, la consegna degli appartamenti ai terremotati dell’Aquila. Con gesto sicuro da venditore, Silvio Berlusconi apriva le antine dei pensili in cucina, mostrando la precisione delle chiusure e delle cerniere (tendono sempre a far difetto) e rivelando il servizio di piatti e bicchieri all’interno. O lo spolvero della sedia su cui si era seduto Marco Travaglio, sotto gli occhi di Michele Santoro. Quando “Loro” – sarebbe questo il titolo, qualcuno smentisca per favore l’infantile gioco di parole tra “Loro” e “L’oro” – girerà per i festival toccherà spiegare che tutto è vero (anche i due comprimari: il pubblico forestiero faticherà a capire che entrambi si dichiarano giornalisti d’inchiesta). C’è spettacolo perfino nella disgrazia, quando lo squilibrato lo colpì con un souvenir a forma di Duomo: scritta da uno sceneggiatore, la scena sarebbe stata accusata di deriva sorrentiniana. Più o meno come il Papa Jude Law che fuma e sta in ciabatte. E che avrà presto un seguito, the “New Pope”, già ordinato da Sky-Hbo.
Per il momento si va
di indiscrezioni, l'unica certezza si chiama Toni Servillo. E forse sarà sempre in accappatoio
Per il momento si va di indiscrezioni, l’unica certezza si chiama Toni Servillo. Hanno fatto quasi tutto insieme, dai tempi di “L’uomo in più” (gran film, l’attore non aveva ancora la maschera ieratica che poi adotterà, anche fuori dall’universo di Sorrentino). Escluso “The Young Pope” per raggiunti limiti di età. Era però disponibile – e molto adatta – la parte andata a Silvio Orlando. Da qui il sospetto che il divo Servillo non abbia voglia di lavorare per la televisione (ma senza le prove resta solo una malignità).
Dovrà imparare l’accento milanese. E la cadenza berlusconiana, senza scivolare nella macchietta del “cumenda” da cinepanettone. Potrebbe farcela. Al cinema gigioneggiava, chiunque fosse il personaggio, mentre era bravissimo sul palcoscenico, a recitare “La trilogia della villeggiatura” di Carlo Goldoni con l’accento da vagheggino del Brenta. Non basterà a ingannare l’orecchio sopraffino di Giuliano Ferrara, che propone per il ruolo due tenori, Placido Domingo e Jonas Kaufman.
Altre indiscrezioni dicono che Toni Servillo sarà sempre in accappatoio, che si vedranno docce con musica classica in sottofondo – speriamo non il “Bolero” di Ravel, ma se fosse siamo pronti a riscuotere la scommessa – e luci azzurre e rosse. Non solo azzurre, come verrebbe ingenuamente da pensare. Il rosso serve perché da tempo immemore evoca il peccato, e da tempo meno immemore evoca il bordello. Giù la maschera: tutti aspettiamo dal film di Paolo Sorrentino una sola cosa, il bunga bunga.
Lo aspettiamo per deprecarlo (cinematograficamente parlando) o per osannarlo (sempre cinematograficamente parlando). Oppure per semplice curiosità: il sesso nel cinema italiano si fa, e dunque si inquadra, pochissimo. Paolo Sorrentino non fa eccezione, nonostante il catalogo di perversioni che qualche fan ha creduto di vedere nei suoi film. La nostra collezione personale è meno ricca. Uno, lo sguardo senile di Michael Caine e Harvey Keitel al culo di Madalina Ghenea che si immerge nella vasca termale a Davos. Due, la spallina dell’abito da sposa di Laura Chiatti ricucita dall’usuraio che si cura il mal di testa con le patate in “L’amico di famiglia”. Tre, Jep Gambardella che dice a Sabrina Ferilli, spogliarellista mentre sparlano di lei, ormai non ha più l’età e dovrebbe trovarsi un marito: “E’ stato bello non aver fatto l’amore”. Quattro (se contano): le chiappe nude del giovane e tonico papa Jude Law. C’era più sesso nell’imitazione che di Jep Gambardella fece Checco Zalone, dicendo a Maria De Filippi: “Che età inutile, non hai neanche una categoria su YouPorn”.
“Non si tratta di sesso, son vizi da basso impero, e sulla decadenza Paolo Sorrentino è imbattibile”. Lo diranno i numerosi fan, che in nome del grande cinema d’autore non si sono fatti sfuggire la notizia del casting segretissimo per reclutare le olgettine. A differenza delle ragazze che voleva reclutare Roberta Torre per un musical su Silvio Berlusconi – nel 2013, poi il progetto fu accantonato – non dovranno saper cantare né ballare. Né ai cinofili duri e puri è sfuggita la notizia che un’attrice italiana, letto il copione, ha rifiutato scandalizzata l’offerta: “io certe cose non le faccio”.
Veronica Lario dichiara intanto a Maria Latella che Paolo Sorrentino
le ha rivelato di voler girare una grande storia d'amore
Veronica Lario dichiara intanto a Maria Latella che Paolo Sorrentino le ha rivelato di voler girare una grande storia d’amore (Maria Latella, che li ha fatti incontrare ed era presente, conferma). Approva l’attrice Elena Sofia Ricci, anche se l’ex signora Berlusconi avrebbe preferito la malinconia della francese Marion Cotillard (noi, parlando di cinema, sconsigliamo: troppe parti da vittima incapace di reagire).
Parlando di mercato internazionale, il film si è venduto praticamente a scatola chiusa. Succede dopo aver vinto un premio Oscar (e Sorrentino era poco prodigo di dettagli anche prima di vincere la statuetta). Sta di fatto che Roma con i fenicotteri potrebbe avere un appeal diverso dalle cene eleganti di Arcore – altri paesi hanno, diciamo cosi, un rispetto per la privacy diverso dal nostro (a dispetto di quanto accaduto alla Casa Bianca, e alla determinazione di una che conservò il vestito macchiato, un film sul caso Lewinski ancora non lo abbiamo visto). Qualcosa suggerisce che a funzionare nelle scene scollacciate come sceneggiatori di complemento saranno le intercettazioni.
Di solito, quando viene annunciata una pellicola su un personaggio vivente, il medesimo minaccia querele e gli amici stretti si trincerano in un discreto no comment (solo i nemici giurati smaniano perché qualcuno li interroghi sui retroscena). Silvio Berlusconi invece ha applaudito, ha detto a Sorrentino “ho visto tutti i suoi film”, gli ha messo a disposizione le sue ville come location (così lo scenografo non dovrà ricostruire il vulcano che erutta, né il mausoleo disegnato da Pietro Cascella).
Le dichiarazioni offrono materiale bastante per un altro film, si potrebbe tentare il dittico. “Sappia Sorrentino che ci possono essere due papi in Vaticano, ma Berlusconi è uno solo”, mette in guardia Emilio Fede, vantando 24 anni di amicizia. Poi traccia una pseudo-andreottiana distinzione tra il ruffiano, che è intelligente, e il leccaculo che intelligente non è. Massimo Cacciari giudica il progetto “patetico, così fanno solo il gioco di Berlusconi, a nessuno frega più delle serate di Arcore” (vero, ma era vero anche prima, e siamo convinti che il letto di Putin non abbia fatto mancare all’appello nessun voto).
Dicono che “Loro” uscirà prima delle elezioni politiche, sappiamo però che in Italia la data delle elezioni politiche è una festa mobile. Da parte sua, in qualche frase strappata con le pinze, Paolo Sorrentino garantisce che non eserciterà “uno sterile senso critico”. Gli interessa Silvio Berlusconi come archetipo dell’italianità. Sarebbe quindi un secondo capitolo, dopo il divo Giulio Andreotti.
La lista di chi ha tentato di definire il carattere nazionale degli italiani è interminabile, un capitolo in più ci potrebbe anche stare. Dopo, s’intende, “Il sorpasso” di Dino Risi, che disse tutto quel che c’era da dire mezzo secolo fa (se volete le note a piè di pagina, ci sono gli sketch di “I mostri”, sempre diretto da Dino Risi). Se va bene, potrebbe uscirne quel che Entertainment Weekly scrisse di “Il divo”: “A Shakespearean drama, a surrealistic circus, and a uniquely Italian phenomenon all in one”. Se va male, sarà una farsa felliniana con tocchi da Bagaglino.
Effetto nostalgia