Una donna fantastica
di Sebastián Lelio, con Daniela Vega, Luis Gnecco, Amparo Noguera
Cronaca di un film sopravvalutato, girato da un regista cileno sopravvalutato. La furbizia nella scelta della trama e il produttore Pablo Larrain – regista del sopravvalutato “Jackie” con Natalie Portman, anche lei troppo lodata per l’immedesimazione con il tailleur rosa – lo ha fatto candidare all’Oscar come film straniero (in gara con altri 91 titoli, sarà una dura lotta per la short list). Daniela Vega – la donna fantastica del titolo – combatte la battaglia transgender, che prima dell’epidemia “molestate da Weinstein” sembrava il grande tema a sfondo sessuale di Hollywood. Lo scorso febbraio ha conquistato la Berlinale commuovendo le anime belle nonché sensibili e aggiungendo un titolo alla lista dei film che sembrano avere un solo scopo: andarsene in giro con l’etichetta “inattaccabili”. Lo era già “Gloria”, precedente film del regista, che alla Berlinale del 2013 vinse un Orso d’argento grazie all’attrice Paulina Garcia. Scattò una nobile gara per trovare incantevole la storia di una signora divorziata con occhiali e abiti da Tootsie, che andava a ballare e incontrava signori poco affidabili. Un paio di scene divertenti, il gatto più brutto mai visto al cinema, un’ode alle rughe e alle pance cadenti portate con dignità (siamo sempre più dell’idea che i registi maschi classe 1974 dovrebbero raccontare storie adatte alla loro età, o girare le altre in maniera credibile). “Una donna fantastica” inizia con la serata di un uomo e una donna in festa, al ristorante e poi a casa. Finché arriva l’infarto (o qualcosa che gli somiglia). Un maldestro tentativo di soccorso procura all’uomo già moribondo qualche livido. Sorpresa, alla stazione di polizia: la ragazza non si chiama Marina, sui documenti ha un nome da maschio. Il suo maturo amante aveva un’ex moglie, i figli la cacciano dall’appartamentino e dal funerale. Uno addirittura osa chiedere dettagli sul cambiamento di sesso. “Sono affari miei” è la risposta. Nella vita, riserbo più che accettabile. Le sceneggiature funzionano con regole diverse (e il tema lo aveva scomodato il regista, mica noi spettatori). Dove sei Neil Jordan, sceneggiatore e regista di “La moglie del soldato”?