L'UOMO CHE INVENTO' IL NATALE
Di Bharat Nalluri, con Dan Stevens, Christopher Plummer, Jonathan Pryce
Sul sito della Anthony Burgess Foundation si ascolta un’eccezionale registrazione del “Racconto di Natale” di Charles Dickens. Presta la sua voce – e che voce! – Anthony Burgess: amava David Copperfield e Oliver Twist, li aveva studiati e insegnati tutta la vita, e a lui dobbiamo il riassunto della serva.
“Dickens ha creato un mondo, e nel tempo libero ha inventato il Natale”. La festa familiare con l’albero addobbato, le luci, il plum pudding con sorpresa (si può deviare fino al panettone, sul pandoro meglio non pronunciarsi), il calore del caminetto, i regali da spacchettare, gli avari che si redimono (dopo tre spiriti e uno spettro, non è conversione spontanea). Ha inventato anche il racconto di Natale, esercizio poi molto praticato: da Cechov a Dostoevskij, da Alice Munro a Paul Auster.
Stabilito che il titolo – e l’idea – non si devono al regista angloindiano Bharat Nalluri; considerato che il film non ha neppure una scenografia sua, ha sfruttato i set della serie vittoriana “Penny Dreadful”, facciamo l’elenco di quel manca sotto l’albero. Certe cose (resti tra noi) bisognerebbe lasciarle a chi le ha inventate; volendo rendere omaggio ai colonizzatori, meglio fare come gli scrittori indiani che adottano l’inglese con maggiore destrezza.
Mancano la simpatia e il genio di Charles Dickens, colpa della faccetta di Dan Stevens e del costumista che dimentica di vestirlo come il dandy che era. Manca la sua prosa nel doppiaggio italiano raffazzonato: “folle copiose”, “dispendi denaro a ogni mendicante” (pagare l’adattamento al traduttore automatico). Vera l’ossessione dei debiti, un trauma nella vita del futuro scrittore: il padre era finito in prigione, il ragazzino era stato mandato a lavorare nella fabbrica di lucido da scarpe. Non era però lo scarso successo, era che gli americani non pagavano i diritti d’autore sui romanzi che anche di là dall’oceano andavano a ruba. Perché le signore americane, come le inglesi, amavano “farsi un ben pianto”. Questa l’accusa di un marito che non voleva leggere romanzi con dentro i poveri. Fuori dai romanzi, i bambini venivano venduti come spazzacamini.