Louis C. K. e le altre stelle cadenti messe alla gogna
Viviamo l’epoca in cui è vietato parlare di perversioni e di ruoli tra uomo e donna
Le stelle cadono, carriere di grandi attori o commediografi come Spacey e Louis C. K. finiscono nella palta, il mondo dello showbiz, della comunicazione e della cultura (caso Wieseltier) è in subbuglio, scricchiolano governi, predicatori cristiani e giudici moralisti duri e puri come il repubblicano Roy Moore devono rinunciare alla candidatura al Senato, i democratici e liberal americani hanno avuto e hanno la loro parte in commedia, non si parla d’altro nei giornali in tv nei social nei convivi amicali, e tutti sono paralizzati dal tema spinoso della dignità della donna, della sua parola liberata, dell’abuso di potere del maschio eccetera. Una girandola che non finisce più e che confonde i confusi e imbroglia idee chiare e distinte. Ormai ogni finzione di giustizia è cancellata, basta che emergano dichiarazioni on the record, nome e cognome dell’accusato e del denunciante, anche a molti anni di distanza dai fatti, e la vita di una persona, porco eterosessuale o porco gay, è distrutta, la gogna è assicurata, la questione delle prove e delle procedure di accertamento diventa una penosa schermata di alibi e una griglia processuale repressiva. Si approntano leggi in tutta fretta, e apparati, per favorire la denuncia pubblica di comportamenti privati infamanti, nel camerino, nella stanza dell’hotel di lusso, in ascensore, nei luoghi del jet set, sullo yacht, ma anche nel metrò, nell’ufficio qualunque, dovunque convivano le pulsioni predatorie del maschio e l’orrore della vittima, quasi sempre di sesso femminile.
Però, non so se lo avete notato, è vietato parlare di perversioni, che in epoca di libertà sessuale sono il residuato di un vecchio repertorio psichiatrico, viviamo infatti in un tempo segnato dall’idea della disinibizione, dell’orgasmo maschile e femminile liberato in parallelo col progetto di liberazione della parola femminile e di molte altre liberazioni; è vietato parlare dei ruoli e del loro codice, compresa l’idea della manliness protettiva e dolcemente galante per il maschio e del contegno seduttivo femminile, l’abito modesto di un’educazione a piacere con misura e nella misura, che verrebbero bollati l’una di maschilismo patriarcale e l’altro di sottomissione paraislamica del corpo delle donne a regole censorie; è vietato parlare di crisi del matrimonio, trasformato dal divorzio in matrimonio seriale, dunque in caccia alla donna o al partner in nome dell’amore-piacere, vietato parlare di anticoncezionali e di aborto, di natalismo e procreazione come senso ultimo della congiunzione e dell’eros unitivo tra maschio e femmina.
Dice: ma non c’entra, non t’allargare, qui c’è solo l’abuso di potere. E non è vero. Roy Moore è accusato di avere messo le mani addosso a una quattordicenne quando era trentenne, per subito ritirarsi in buon ordine, non una violenza, non uno stupro, una avance pesantissima e incontinente aggravata dalla giovane età della ragazza. Louis C. K. non era poi così potente quando, serialmente, si masturbava ed eiaculava davanti ad amiche invitate nella sua stanza d’albergo, e in cento altre occasioni, anche telefoniche, secondo le dichiarazioni on the record; e le sue commedie, i suoi testi comici, sono infarciti di riferimenti espliciti, sempre in tema di masturbazione esibita, alla crisi del maschio, alla sua fragilità sessuale, alla sua dipendenza affettiva dalla crisi del matrimonio. E ora dicono che la sua arte di commediografo e di stand-up comic era solo una copertura per i comportamenti nella vita reale, la maschera del porco. Le persecuzioni di Spacey alla zip dei ragazzi che desiderava, anche lì serialmente, non si configurano come abusi di potere ma come perdite di autocontrollo e stimolazioni erotiche da quattro soldi.
Dice: ma che c’entrano matrimonio, anticoncezionali, libertà riproduttiva, manliness o virilità intesa in senso classico, contegno femminile. Sarai mica come quel prete mostruoso che nega la compassione a una ragazza che si sballa e va, come dice lui, con i maghrebini? A questo punto siamo arrivati? Ma no, tranquilli. Voglio soltanto dire che probabilmente la questione pulsionale del desiderio tra uomo e donna è irrisolvibile, e alla fine quando certe mie amiche femministe mi dicono che almeno con lo scandalo pur immerso nella confusione, nella deformazione, nella trasformazione della denuncia in contromolestia e in delazione postuma, almeno un po’ di pepe al culo il maschio cafone e abusivo se lo sentirà, e le cose possono un po’ migliorare per qualche tempo, e l’effetto rieducativo, alla “rivoluzione culturale cinese”, di tutti questi galli goffi che si rieducano, che chiedono scusa, che si leccano le ferite abbandonati dalle mogli e scornati dalla società con mezzi spesso proditori, mentre escono di scena per giudizio esemplare e sanzione sommaria, alla fine questo effetto è meglio di niente, meglio della rassegnazione o della sottomissione.
Va bene, siamo di mondo. Ma la pretesa di irridere come bigotta per anni la santificazione ecclesiale di Maria Goretti, di santificare denunce ambigue e comportamenti ambigui assunti vent’anni dopo da tante donne, di sentirsi vittime e odiare il sentimento del vittimismo, e la pretesa di escludere dal computo del dare e dell’avere nella società contemporanea quel livellamento dei diritti, diverso dall’eguaglianza nella diversità, che ci siamo costruiti con le nostre ideologie e pratiche nelle ultime due o tre generazioni di liberazione di tutto, dunque alla fine anche dell’esibizione lurida del pene, e che si chiama fine dei ruoli e scomparsa di concetti come perversione, protezione, autorità, cavalleria, matrimonio e famiglia, ecco queste pretese mi sembrano francamente eccessive.
Politicamente corretto e panettone
L'immancabile ritorno di “Una poltrona per due” risveglia i wokisti indignati
Una luce dietro il rischio