Nome di donna
Il film di Marco Tullio Giordana, con Cristiana Capotondi, Valerio Binasco, Bebo Storti, Michela Cescon
Indagine Istat, sostegno di Amnesty International, data di uscita scelta con astuzia. Parliamo dell’8 marzo, non del ciclone molestie (forse un po’ si è placato, abiti neri agli Oscar se ne sono visti pochi, e i pochi non erano per la causa; Frances McDormand sembrava più preoccupata della clausole contrattuali a favore dei gruppi svantaggiati che delle mani lunghe). Marco Tullio Giordana e la sceneggiatrice Cristiana Mainardi fanno risalire la prima idea del film a tre anni fa. Quando l’esercito delle ricattate sessuali in Italia, comprese le “molestate in senso lato” – parole loro, cifre dell’Istituto di Statistica – ammontava a otto milioni e ottocentomila. Non si capisce perché la causa da difendere debba far scordare le più elementari regole che governano il cinema. Tra la sciatteria della fotografia, la sciatteria della sceneggiatura, la sciatteria della recitazione e l’ammasso di retorica lo spettatore non sa dove guardare. Del resto è difficile risultare credibili pronunciando battute che sembrano calate da un’astronave madre carica di luoghi comuni. Per dire, l’avvocatessa che difende il dirigente della lussuosa casa per anziani accusato di molestie arriva in tribunale scollata, truccata, in tacchi alti. L’avvocatessa che difende Cristiana Capotondi, convocata fuori orario dal dirigente medesimo, ha i capelli corti e gira senza trucco. Il molestatore (con la complicità del sacerdote che gestisce il ricovero per ricchi) predilige le ragazze vestite da infermiera. Ha già molestato la cameriera di casa, rivela la figlia che fa volontariato in Africa, come ogni giovane rispettabile intenzionata a tagliare i ponti con la famiglia borghese. Per Adriana Asti, attrice che ha preso dimora nella struttura – sul comodino i santini teatrali Giorgio, Luca, e Luchino – le battute che risollevano il morale vengono dall’autobiografia “Un futuro infinito” (Mondadori): “Recitare nuda è bellissimo, tutti guardano lì e nessuno bada a quel che dici”. Le gerarchie sono fetenti, le colleghe Dio ne scampi: son molestate tutte o quasi, ma nessuna avverte l’ultima arrivata. Preferiscono ammutolirsi e in mensa fare il vuoto attorno a chi denuncia.