I segreti di Wind River
di Taylor Sheridan, con Jeremy Renner, Elizabeth Olsen, Jon Bernthal, Kelsey Asbille, Julia Jones
Le credenziali sono “Sicario” e “Hell or High Water”: Taylor Sheridan aveva scritto le sceneggiature, cedendo la regia del primo a Denis Villeneuve e la regia del secondo a David Mackenzie. Già che siamo in tema: il seguito di “Sicario”, sempre scritto da Taylor Sheridan e intitolato “Soldado”, è diretto invece da Stefano Sollima di “Suburra” e “Gomorra-la serie” (a fine giugno nei cinema americani, da noi non si sa). Ma sono rari al mondo gli sceneggiatori che non sognino di passare alla regia – uno scevro da tentazioni fu I.A.L. Diamond, che scrisse 11 geniali film per Billy Wilder. Sono ancora più rari quelli che riescono con successo nell’impresa. Guillermo Arriaga, per esempio, dopo la separazione da Alexandro Gonzales Iñárritu e il non trionfale successo di “Burning Plain-Il confine della solitudine” è tornato al romanzo: l’ultimo si intitola “I selvaggi”, esce da Bompiani. “I segreti di Wind River” è scritto meglio di quanto non sia girato. Non perché sia un capolavoro di scrittura, la storia e i personaggi sono corretti ma nulla più. Perché un regista davvero bravo – lavorando sui tempi, sugli attori, sulle inquadrature, eliminando le insistenze e gli indugi, la trama non è difficile da capire e da anticipare – avrebbe sviato l’attenzione dalle debolezze del copione. Siamo lassù nel Wyoming, riserva indiana di Wind River. Jeremy Renner (sminatore in “The Hurt Locker” di Kathryn Bigelow) gira armato di fucile, per tenere lontani i predatori. Nel bianco perfetto della neve, trova il cadavere di una ragazza indiana (scordatevi “Fargo” dei fratelli Coen, c’è macelleria ma mai una parvenza di ironia). L’Fbi manda a indagare una giovane recluta (obbligatoria la scena con l’agente giovane e carina traballante con i tacchi sul terreno gelato, poi dicono gli stereotipi). Il vissuto cacciatore (che ha un trauma nel suo passato, aveva una moglie indiana) e la giovane recluta si alleano. Un bravo regista avrebbe potuto fare a meno delle facce pitturate e dei rituali, che però non scongiurano l’alcolismo e la disoccupazione. Pure del messaggio: molte ragazze indiane scompaiono, e nessuno se ne dà pena.