La profezia dell'armadillo
di Emanuele Scaringi, con Simone Liberati, Pietro Castellitto, Laura Morante
Ha un solo problema. Per il resto “La profezia dell’armadillo” sta tra i rari film italiani ben scritti, da vedere senza sofferenze: la bravura di Zerocalcare, capace nei suoi fumetti di dialoghi che superano di moltissimo il raggio d’azione dello sceneggiatore italiano, arriva sullo schermo. Possiamo anche dire “graphic novel” invece di “fumetto”, per non irritare i lettori della prima ora. Però abbiamo letto con tristezza l’appello su twitter in vista della personale al MAXXI di Roma, il prossimo novembre. Zerocalcare (all’anagrafe Michele Rech, classe 1983) chiede ai centri sociali per cui ha disegnato manifesti o altro di fargli sapere se voglio o no stare esposti in un posto “istituzionale” (un’idea così stretta di committenza non l’avevano neanche i principi rinascimentali). Il problema nella “Profezia dell’armadillo” è l’armadillo, animale totem del protagonista (o voce della coscienza, o doppio con cui chiarirsi le idee). Al cinema, un gabibbo con la corazza, che ai non lettori di Zerocalcare appare un brutto e ingombrante pupazzo. Il cinema italiano sui giovanotti marginali di Rebibbia, Tiburtina Valley, magari non girerà il mondo. Ma perché escluderlo in partenza, visto che i fumetti sono tradotti in francese e inglese? Gli spettatori che erano già lettori invece storcono il naso, succede sempre con i primi adepti che vedono arrivare gli altri adepti. Superato l’armadillo, che arriva dopo una magnifica sequenza a fumetti, ma il film intero sarebbe costato troppo - arrivano Zero e il suo amico Secco, che si sballa con qualsiasi cosa. Anche lo spray al peperoncino. L’attore strafatto si chiama Pietro Castellitto (figlio della coppia Castellitto & Mazzantini): tempi comici perfetti e una visione del mondo tutta sua. Fisico e parlata ricordano Spud nel primo “Trainspotting” di Danny Boyle. Bravo anche Simone Liberati, nella parte di Zero che per campare dà lezioni di francese a un ragazzino: lo smontaggio del film “L’odio” di Mathieu Kassovitz (e ancor di più gli esiti dell’indottrinamento) sono uno spasso. C’è anche il momento triste (“è la volta che diventiamo grandi”) e una geniale apparizione di Adriano Panatta, tennista.
Politicamente corretto e panettone