Sembra mio figlio

di Costanza Quatriglio, Tihana Lazovic, Hazara Basir Ahang, Dawood Yousefi
 

Mariarosa Mancuso

Silenzi, attese, intensità, delicatezza, rigore morale, lezione di cinema, storia di assenza, storia di mancanze, radici e identità da ritrovare, amore materno, volti scavati, qualcosa di pasoliniano, inquadrature scarne, montaggio ellittico”. Si potrebbe continuare, pescando dalle recensioni che hanno senza eccezione lodato il film di Costanza Quatriglio. Regista coraggiosa, non si può negare: aveva tratto un documentario da “Terra matta” di Vincenzo Rabito, quasi analfabeta siciliano che raccontò il suo Novecento appiccicando le lettere senza mai uno spazio. Qui abbiamo due fratelli della diaspora Hazara, Hassan e Ismail, fuggiti dall’Afghanistan quando erano bambini (già prima si erano abituati a camminare separati, perché almeno uno di loro si salvasse in caso di pericolo). Ismail si convince di poter ritrovare la madre, che nel frattempo è stata costretta a risposarsi, e parte in viaggio. Senza che lo spettatore abbia il minimo appiglio per appassionarsi alla sua ricerca. Come dovrebbe fare un film, senza contare sul circuito chiuso dei festival, dei critici duri e puri e di chi al cinema deve andare per mestiere.
 
 
 

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