COLETTE
La recensione del film di Wash Westmoreland, con Keira Knightley, Dominic West, Eleanor Tomlinson, Fiona Shaw
I registi si giudicano dai dettagli. I bravi li usano per costruire i personaggi. I mediocri li aggiungono a casaccio, sperando di impressionare lo spettatore. La scrittrice Colette diede la dritta giusta al giovane Georges Simenon: “Tolga gli aggettivi e tutto andrà bene”. Lei dirigeva la pagina letteraria del Matin, il giovanotto le aveva sottoposto i suoi racconti (avessimo noi editor tanto bravi, parenti del Dr House che non tiene la mano del paziente, né gli dice paroline gentili, ma lo guarisce). Lezione utile anche per il regista, che abbonda di aggettivi, sotto forma di dettagli che soddisfano solo la sua voglia di stupire, guardate quanto sono colto”. La palla di neve con la Tour Eiffel appena costruita, la tartaruga con i gioielli a dimostrare sfarzo parigino, l’elettricità appena inventata, con dimostrazione pratica di come funziona l’interruttore. Più della sceneggiatura parlano i vestiti. Gli abiti campagnoli, il costume della pantomima egiziana, i pantaloni e le cravatte del periodo lesbico, le righe da marinaio. Colette scrive le “Claudine” (dal nome della protagonista). Il marito Willy – l’attore Dominic West di “The Affair”, con una barba respingente – firma i libri e intasca i soldi, che poi spenderà con le puttane (si capisce che sono puttane perché ridono sguaiatamente). Il regista piazza cestini in giro, perché Keira Knightley – bravissima, in un film che le dona molto – possa afferrare un frutto e morderlo in segno di sfida. Va detto che entrambi sono notevolmente sottopeso rispetto agli originali, all’inizio del novecento il cibo lo mangiavano invece di giocarci. Colette era nata in provincia (ma decisa a non finire lì i suoi giorni). Riuscirà a firmare le Claudine solo dopo la morte del marito, ma i libri scritti con il proprio nome piacquero subito a Gide e a Proust. Coltivava un’idea tutta sua del rapporto tra letteratura e vita: “le cose che scrivi prima poi succedono”. Infatti prima scrisse “Chéri”, con un toy-boy degli anni 20 (la madre lo affida diciannovenne all’amica, perché lo svegli un po’). Poi si innamorò di Bertrand de Jouvenel: lei aveva 47 anni, lui 17, ed era il suo figliastro.