SE LA STRADA POTESSE PARLARE
La recensione del film di Barry Jenkins, con KiKi Layne, Stephan James, Pedro Pascal, Dave Franco
Tre film della “black renaissance” (l’hashtag #oscarsowhite era di quattro Oscar fa, anno 2015) si sono spartiti quest’anno le nomination. “Blackkklansman” di Spike Lee racconta un poliziotto nero infiltrato nel Ku Klux Klan, con un collega ebreo come controfigura (purtroppo si chiude su Harry Belafonte serissimo in cattedra, e i continui riferimenti a Trump sfiniscono). “Green Book” è un film come speravamo di non vederne più: buoni sentimenti e pittoresco a piovere, realismo sotto lo zero (poi quando Viggo Mortensen pronuncia la parola con la “n” durante una conferenza stampa, lo mettono in croce come “europeo poco rispettoso delle usanze americane”). “Se la strada potesse parlare” è il secondo film di Barry Jenkins, Oscar 2017 con “Moonlight” – dopo il pasticcio delle buste, quando già produttori, regista e attori di “La La Land” stavano festeggiando. L’hashtag aveva fatto il suo effetto, premiando i ragazzini neri che paiono blu alla luce della luna, e quando crescono amano da lontano un giovanotto che neppure ricordava il rapido sesso in spiaggia (la mano stringe la sabbia, solo da questo immaginiamo che è successo qualcosa, gli applausi hanno premiato la delicatezza d’altri tempi). Il nuovo film viene da un romanzo di James Baldwin (Fandango): attivista per i diritti civili dei neri assai più scatenato – e per niente zuccheroso – di come Barry Jenkins lo fa risultare nella sua messa in scena. Basta leggere “Questo mondo non è più bianco”, o vedere il documentario che gli ha dedicato il regista haitiano Raul Peck, con il titolo “I’m Not Your Negro”. Morto nel 1987 in Francia, non può stupirsi per l’eleganza e l’armonia dei maglioncini pastello, dei pantaloni e delle camicie stampate, perfino le tappezzerie sono da rubare, e i mobili anni Settanta nella casa di Harlem pronti la vetrina. Tish e Fonny passeggiano nel foliage, amoreggiando felici finché lui non viene accusato di stupro. Era altrove, sostengono le famiglie compatte e solidali, ma la giustizia dei bianchi è prevenuta verso il giovanotto nero. Perdono l’innocenza ma restano elegantissimi. E lo splendore visivo fa pensare che il dramma faccia da pretesto per la sfilata.
Effetto nostalgia
Né Avetrana né Hollywood: viva Pavia e la serie sugli 883
L'editoriale del direttore