Green book
La recensione del film di Peter Farrelly, con Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda Cardellini, Mike Hutton
Era difficile immaginare che il regista di “Tutti pazzi per Mary” e “Scemo & più scemo” (mezzo regista, lavorava in coppia con il fratello Bobby Farrelly) invocasse per “Green Book” una grande missione: “cambiare i cuori e la mentalità”. In materia di bianchi e di neri, nientedimeno, e proprio quando agli Oscar arriva “Black Panther” di Ryan Coogler, il supereroe del regno di Wakanda (immaginario stato africano ricchissimo e tecnologicamente all’avanguardia, creato da Stan Lee e al cinema popolato da variopinte e filologiche etnie). “Green Book” e “Black Panther” si disputeranno il prossimo 24 febbraio l’Oscar per il miglior film. L’occasione per verificare se i giurati sanno riconoscere il nuovo, o hanno la testa girata all’indietro, verso “A spasso con Daisy”, il film del 1989 dove la vecchietta bianca imparava a non trattare da schiavo l’autista nero. Intanto per “Green Book” (era una guida che segnalava i posti dove mangiare e dormire senza rischi, nel sud degli Stati Uniti) sono arrivati tre Golden Globe: per la miglior commedia, per l’attore Mahershala Ali (era in “Moonlight” di Barry Jenkins, è nella terza stagione di “True Detective”, su Sky Atlantic). Pure per la sceneggiatura firmata dal regista medesimo assieme a Nick Vallelonga, figlio di Tony Vallelonga, l’italoamericano che scarrozzò per un paio di mesi il pianista nero Don Shirley. Povero e volgarotto il primo, ex buttafuori con famiglia a carico (dress code: canottiera sudata). Ricco e sofisticato il secondo, vive in un appartamento sopra la Carnegie Hall, zanne di elefante fino a non poterne più (dress code: sciarpetta di seta al collo, e se pensate ci sia qualche sottinteso, rivolgersi al regista, noi umilmente riferiamo). Siamo nel 1962, il viaggio comincia con le solite scaramucce e finisce con i due che mangiano pollo fritto con le mani. Il nero non lo aveva mai fatto in vita sua; per ringraziamento aiuta il bianco buzzurro Viggo Mortensen a scrivere lettere romantiche alla consorte. La figura precisa del “magical negro” secondo Spike Lee: un nero che nella trama di un film ha il solo scopo di aiutare un bianco a risolvere i propri problemi.