Il primo re
La recensione del film di Matteo Rovere, con Alessandro Borghi, Alessio Lapice, Fabrizio Rongione, Tania Garribba
Sono anni che per vedere un film in versione originale con sottotitoli bisogna cercarlo con pazienza (la pirateria neanche la consideriamo). Solo un certo giorno la settimana, solo in poche sale scelte, solo in orari di scarso affollamento (a Milano l’indirizzo sicuro da novembre è l’Arlecchino, da tenere a mente in sede di classifiche sulla qualità della vita). Poi arrivano i dialoghi in latino arcaico del “Primo re”, e i sottotitoli all’improvviso non incutono più terrore&spavento – con disinvoltura da consumati linguisti circola anche il termine “protolatino”. Vedremo se il pubblico di riferimento – maschi interessati ai combattimenti feroci dei protogladiatori, e all’urlo finale “Questa è Roma!”, a imitazione degli spartani di “300” – si lascerà convincere.
Da altrettanti anni ripetiamo che il cinema italiano manca di ambizione, non è fatto per circolare all’estero, è quasi sempre solo una questione di corna. A Matteo Rovere le ambizioni non mancano. Il latino aveva fatto una rapida comparsa cinematografica nel 1976, quando Derek Jarman girò “Sebastiane”. L’altro regista affezionato alle lingue morte è Mel Gibson: latino e aramaico in “La passione di Cristo”, antica lingua maya in “Apocalypto”: lì abbiamo avuto il sospetto che le lingue scomparse fossero una scusa per ficcare in film per tutti violenze da film horror, neppure “Il primo Re” riesce a scacciarlo del tutto. Arriva l’ondata gigantesca, e delle due figurine succintamente vestite, barbute, pelose e parecchio sporche una riesce a mettere in salvo l’altra. Sono Romolo e Remo (la lupa manca, non deve aver passato l’esame degli storici), senza che lo spettatore riesca a capire chi sia l’uno e chi sia l’altro.
Alessandro Borghi, e il “gemello” Alessio Lapice, superano le prove fisiche da “Revenant”, uccisione del cervo e frattaglie curative - giura il regista che il film è “analogico”, il fango e l’inondazione non sono effetti speciali. Nel cammino, prima di tracciare il solco che sarà il primo confine di Roma, trovano una ragazza che custodisce il fuoco (la protovestale, sicuro). L’occasione per un dibattito sul rapporto tra l’uomo e il divino, un tantino fuori epoca.