Il professore e il pazzo
La recensione del film di Farad Safinia, con Mel Gibson, Sean Penn, Natalie Dormer, Steve Coogan
Servirebbe un nuovo dizionario della lingua inglese, stabilì a metà Ottocento l’associazione dei filologi londinesi. Il vecchio dizionario, compilato da Samuel Johnson in nove anni di duro lavoro, era uscito nel 1755 (con l’onore di una citazione in “La fiera della vanità” di W. M. Thackeray: la copia che la direttrice del collegio regala ad Amelia, studentessa modello, viene scaraventata fuori dalla carrozza dalla ribelle Becky Sharp). Benissimo, ma da dove cominciamo? James Murray, lessicografo scozzese messo a dirigere i lavori, ebbe un’idea. Un bando per tutte le persone colte, chiamate a segnalare parole e citazioni – la monumentale opera in dieci volumi, l’ultimo uscito nel 1928, era un dizionario storico: significato, origine, primo impiego. Tra gli assidui collaboratori c’era un certo W. C. Minor, spedire le sue lettere dal Berkshire. Quando il professor James Murray andrò a trovare il collaboratore, scoprì che era ricoverato nel manicomio di Broadmoor. Medico militare trasferito a Londra, in preda a un attacco di paranoia aveva ucciso un passante. In cella gli avevano consentito di tenere i libri, il lavoro filologico era di prima qualità. La storia è magnifica, benissimo raccontata da Simon Winchester in “Il professore e il pazzo” (Adelphi). Mel Gibson da decenni voleva farne un film, e dopo molte vicissitudini c’è riuscito, affidando la regia a Farhad Safinia, suo collaboratore in “Apocalypto” (prima di arrivare sugli schermi, qualche controversia legale). “Il professore e il pazzo” funziona bene nelle parti difficili: anche se mai avete avuto curiosità sulla compilazione di un dizionario, la prima metà film va via veloce tra le scartoffie Quel che non funziona è il risvolto umano: la vedova addolorata, la redenzione, Sean Penn che non resiste alla tentazione di esagerare nella parte del matto letterato (quando poi si fa crescere la barba, diventa una macchietta). Il professore Mel Gibson riesce invece a trattenersi. Manca la scena sulla copertina del libro, questo sì imperdibile: il vero James Murray che cavalca un mostro di sabbia, molto somigliante alle creature selvagge disegnate da Maurice Sendak.
Effetto nostalgia
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