Bentornato Presidente!
La recensione del film di Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi, con Claudio Bisio, Sarah Felberbaum
Itempi sono duri. Ma resistiamo, in attesa delle magnifiche sorti e progressive che ci attendono in estate. Garantisce “Moviement”, la task force di produttori, distributori, esercenti, istituzioni, più l’Accademia del cinema italiano che assegna i David (andati nel 2019 perlopiù a “Dogman” di Matteo Garrone, e un po’ a “Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini: in contemporanea al cinema e su Netflix, quel che si dice un esperimento riuscito). Quest’estate avremo grandi film, in contemporanea con gli Stati Uniti, anche i film di Cannes usciranno senza ammuffire. nel frattempo un po’ si soffre, e si cerca di capire se c’era davvero bisogno di “Bentornato Presidente!”, sequel di “Benvenuto Presidente!”.
Trama del precedente, uscito nel 2013: il montanaro Peppino Garibaldi (Claudio Bisio, ormai nella modalità “recitazione automatica” che si inserisce quando si fa sempre lo stesso personaggio, al cinema e a Sanremo) viene eletto al Quirinale, e cerca di cambiare l’Italia. Trama dell’attuale: il montanaro Peppino Garibaldi vive tra le caprette, ora con moglie e figlia, cercando il segreto della lievitazione perfetta – è così che si è perduta una generazione, dietro al lievito madre. Pensa che la vita sia meglio della politica, ma l’Italia ha ancora bisogno di lui. Prima della discesa a Roma, un audace montaggio alternato tra lui che raccoglie i porcini e le persone che vanno a votare. A Roma ci sono un salvino e un dimaio, scritti minuscoli perché son tipi umani. Uno fa la faccia da killer, gli manca solo la motosega, quando si trova in favore di telecamera (comanda “Precedenza Italia”) L’altro cerca di fare il furbo ma non gli riesce benissimo (comanda il “Movimento Candidi”). Ci sarebbe anche Sovranità Democratica, ma stanno sempre a litigare. Ci si chiede, a questo punto, se la Realtà abbia avuto la sua percentuale sui diritti d’autore. Prima di domandarsi, sul finale, se davvero c’era bisogno di una trama dove i cattivi scommettono al ribasso contro l’Italia. “La gente vuol sentir ripetere dai politici quel che si dice al bar”, dice una battuta del film. Vale per i politici però, non per chi fa cinema: da loro vogliamo commedie che fanno ridere.