Vivere

La recensione del film di Francesca Archibugi, con Adriano Giannini, Micaela Ramazzotti, Massimo Ghini, Roisin O’Donovan

Mariarosa Mancuso

Son passati trent’anni da “Mignon è partita” e dal ragazzino che non passa più tra le sbarre del cancello perché ormai è cresciuto: commozione e grande apertura di credito all’Archibugi, regista debuttante. Sarebbe ora di chiuderlo, il credito, e non è la prima volta che il pensiero attraversa la mente. Un film come “Vivere” lo esige, a cominciare dalla casetta con giardino, sia pure in periferia, dove vive la coppia Micaela Ramazzotti & Adriano Giannini, con figlioletta e babysitter irlandese. Pagata con quali soldi, non è ben chiaro, abbiamo perfino pensato a una generosa buonuscita da parte della ex moglie ricca di famiglia, Valentina Cervi. Lei voleva ballare “Il lago dei cigni” e ha appeso le scarpette al chiodo, corre trafelata ogni mattina per portare la figlia a scuola e insegnare ginnastica alle culone. Lui fa il giornalista, e come sempre nei film italiani ne viene fuori un numero da circo (ma non c’era tra gli sceneggiatori qualcuno che abbia mai visto uno scribacchino?). Si spreme le meningi (tra i pugnetti, non così per dire) prima di scrivere 800 battute – quelle che avete letto fin qui sono 1.200. Fa scene isteriche perché lo disturbano, deve guadagnarsi con il sudore della fronte 40 euri con l’articolo “Meteoriti a Jesolo, si teme per Miss Italia” – è internet, servono i clic. E’ Crisi, è Infelicità, è Buio Senza Uscita. Finché in tanta desolazione esistenziale si accende la lucina, sotto forma di rossa baby sitter che esce nuda dalla doccia. E succede quel che deve succedere (ma con molta, molta sofferenza, intendiamoci, mica sono corna, è tutto un tormento anche per le molle del letto). La tradita intanto si confida, sulla pochezza del consorte: “E’ una buccia vuota, la banana se l’è mangiata qualcun’altra” (Voi non avreste voglia di vedere la morte del cigno danzata da una così? Noi tantissimo). Il vicino di casa, Marcello Fonte, è lì soltanto per spiegare il (facilissimo) titolo. Che per altro somiglia tanto a “Life Itself”, il film – bruttino e menagramo, una serie interminabile di disgrazie – diretto da Dan Fogelman della serie “This is Us”. Sempre famiglie, ma scritte (e alloggiate) con realismo.

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