IO, LEONARDO
La recensione del film di Jesus Garces Lambert, con Luca Argentero, Angela Fontana, Massimo De Lorenzo
"I dialoghi di Leonardo sono tratti dai suoi scritti”, avvertono i titoli di testa. Lo spettatore già un po’ trema. Nessuno, neppure il genio universale che il mondo ci invidia, parla come scrive. Serve per rassicurare le professoresse democratiche che accompagneranno le scolaresche al cinema. Poi arriva un neonato che placido galleggia nell’acqua – uguale alla copertina di “Nevermind”, Nirvana 1991 – e sentiamo la voce di Francesco Pannofino. Dà del tu a Leonardo (lo farà fino alla fine) e allude a “La camera oscura dei tuoi pensieri”. Da intendersi: là dove prendono forma le idee del mirabile genio, che però visto da fuori – con il parruccone, la faccia di Luca Argentero, l’insopportabile cadenza “artistica” – non sembra aver la luce dell’intelligenza. Lo sforzo creativo (non è neppure una novità, lo insegnano centinaia di film su pittori, scrittori, artisti in genere) sullo schermo viene sempre malissimo: sguardo nel vuoto, metà ispirato e metà invasato, con fronte corrugata per contorno. Ci si chiede come mai gli sceneggiatori e i produttori italiani abbiano imparato a fare le serie, ma i film ancora no, deve essere il timore reverenziale verso la Cultura. “Io, Leonardo” è diretto da Jesus Garcés Lambert, il messicano che girò “Caravaggio - L’anima e il sangue” (da noi fuggito per overdose di Caravaggio). Da Vinci andiamo a Firenze, bottega del Verrocchio, tra gli allievi oltre a Leonardo ci sono Perugino e Botticelli. Qui per un po’ la voce di Pannofino dà tregua, ma poi riprenderà, commentando “l’ombra dell’arresto per sodomia” e gli sforzi per disegnare l’uomo vitruviano, così pop che ne esiste una versione con Homer Simpson, ciambella in una mano e birra nell’altra. “Chi ha fatto le mani? Chi ha fatto la colomba?”, urla il maestro mentre gli scolaretti vergognosi si guardano i piedi. Tranne Leonardo s’intende, il primo della classe, che dipinge un angelo leggiadro sotto l’occhio insidioso del Perugino. Ci sono i tormenti della carne, giacché “La verga ha intelletto per sé”. Il Cenacolo è “il ritratto di una famiglia riunita, allagata, acquisita”. Messa in scena con piglio da regista: tu poggia la coppa, tu alza lo sguardo, qualcuno sposti quel pane.