Il primo Natale
La recensione del film di Ficarra & Picone, con Salvo Ficarra, Valentino Picone, Massimo Popolizio, Rebecca Mattei
Comici, quand’è che la smettete di accollarvi l’educazione del popolo-spettatore? Con i destini del mondo, non son faccende di vostra competenza. Il giullare deve restar giullare, e se proprio gli urge il messaggio – quella cosa che sta nel cuoricino tenero e pulsante, e preme per recare al mondo la buona novella (un’altra volta? un’altra volta, ma qui come vedrete siamo in tema) – meglio stringere i denti e contare fino ai milioni che servono per produrre un film come “Il primo Natale”. Naturalmente auguriamo incassi stratosferici. Ma nessuno venga a dire che il cinema italiano gode di buona salute: i cinepanettoni tradizionali perlomeno non avevano pretese educative.
Succede che Ficarra & Picone, incaricati di sbrigare la pratica “film da vedere durante le feste” – ovvero destinati a spettatori che al cinema vanno solo per smaltire gli stravizi alimentari – si accorgono che ohibò, nelle pellicole natalizie manca il bambinello, che di Giuseppe e Maria non c’è traccia, e neppure della capanna con il bue e l’asino ad alitare sulla mangiatoia, sparito anche il censimento. Decidono di riparare – non sospettando che buone intenzioni e comicità fanno a pugni. Ne esce una miscela indigesta di catechismo, buoni propositi, battute su Roma che era ladrona anche nell’Anno Zero.
Riescono a ficcarci i cannoli portati a Erode dal commerciante siracusano. Alternati con i migranti a bordo dei barconi e qualche battuta sul nome del piccino appena venuto al mondo (“Io lo chiamerei Calogero”). La sfoglia che contiene il ripieno è impastata con un ladro miscredente che ruba nelle chiese perché gli allarmi sono scarsi (la gag sulle misure sempre sbagliate, si tratti di navate o di pozzi o di finestre da cui calarsi, è francamente deboluccia) e un sacerdote maniaco del presepe vivente, per cui fa provini su provini, con il piglio di chi mette in scena un colossal (“Più paglia, più paglia… Il bue mezzo metro avanti!”) Entrano in un cespuglio, e sbucano nei luoghi sacri che ancora sacri non erano. “Non ci resta che piangere” trasportato a Betlemme, con l’ateo che all’improvviso crede e batte in devozione il sacerdote.