Piccole Donne
La recensione del film di Greta Gerwig, con Saoirse Ronan, Laura Dern, Florence Pugh, Timothée Chalamet
Attenti, sta per scattare un’altra epidemia. Quando uscì “La versione di Barney” (avete già dimenticato Mordecai Richler? ingrati, vi sembra il modo?), tutti i maschi erano convinti di essere fascinosi, caustici e brillanti come Barney Panofsky – erano invece noiosi, serissimi, e assenti durante l’elogio del “totally unnecessary”. Quando uscì “Zia Mame”, tutte le signore erano convinte che Patrick Dennis le avesse prese a modello per il romanzo. Al capitolo “Piccole donne”, tutte le ragazze dai nove ai novanta giurano di aver trovato in Jo la loro eroina. Jo che vuole fare la scrittrice, Jo che si taglia i capelli e li vende perché mamma possa andare a trovare papà ricoverato in un ospedale lontano (era cappellano militare durante la guerra di Secessione, le famiglie March & Alcott erano progressiste e pacifiste). Non c’era una gran scelta, tra le signorine March. Per esempio, era vietatissimo scegliere Amy, come sorella prediletta. Amy che per dispetto brucia il manoscritto di Jo. Amy che ha la passione per la pittura ma non il talento dell’artista, quindi smette. Amy che entra nelle grazie della zia ricca (“io posso fare a meno di un marito, tu no”). Amy che torna dal viaggio in Europa molto ben sposata.
Massì, evitiamo l’ultimo spoiler, per i non adepti. Le adepte che correranno a vedere la versione di Greta Gerwig, oltre a ricavarne utili consigli in materia di guardaroba – ha dimenticato che le ragazze sono povere, che trascorrono un Natale senza regali e pure senza cibo, lo hanno regalato a una famiglia di vicini ancor più poveri – troveranno il romanzo smontato e rimontato. Più per desiderio di messaggio che per necessità narrativa. Alla regista e sceneggiatrice interessa Jo, che nella prima scena a New York ha un appuntamento con l’editore. Nota di riassetto, in tanta armonia femminista: fu l’editore a suggerirle un libro con personaggi femminili, miss Alcott avrebbe preferito continuare con le storie – come “Un lungo fatale inseguimento d’amore”, considerato allora troppo audace – che le hanno guadagnato la stima postuma di Stephen King. Il cast brilla e risplende, ma a Laura Dern nella parte della signora March proprio non si crede.