Jojo Rabbit
La recensione del film di Taika Waititi, con Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Scarlett Johansson, Taika Waititi
Solo per spettatori adulti. Gente che non si spaventa se vede un giovanotto vestito da Hitler, con svastiche e baffetti (“Poco prima della Giornata della Memoria, poi, ma come si permettono!”). L’attore che fa l’ingrata parte, nonché regista del film, si chiama Taika Waititi, maori per parte di padre mentre il cognome della madre – lo usa ogni tanto nei crediti – sarebbe Cohen. Insomma, sa quello che fa. E se decide di affibbiare al ragazzino JoJo un amico immaginario, che parla e si comporta come Hitler, mette una gran voglia di vedere cosa è capace di fare. Con un pregiudizio positivo, giacché conosciamo il regista (neozelandese di passaporto) per un finto documentario intitolato “What We Do in the Shadows”: quattro vampiri, di età variabile dai 180 agli 800 anni, coinquilini litigiosi in un appartamento a Wellington (esiste anche la serie, ambientata a New York). JoJo vive nell’Austria nazista, con mamma Scarlett Johansson candidata all’Oscar come attrice non protagonista. Una delle sei nomination ricevute dal film lo scorso lunedì: è stato il vero outsider, accolto tra i nove migliori film – in compagnia di “Parasite”, “C’era una volta a Hollywood”, “Joker” – e tra le cinque sceneggiature non originali. L’ha firmata il regista, adattando – piuttosto liberamente – il romanzo di Christine Leunens “Il cielo in gabbia” (esce da SEM). Solo per spettatori adulti, capaci di apprezzare una riuscita commedia nera, e con abbastanza memoria da ricordare “Il grande dittatore” di Charlie Chaplin (1940) e soprattutto “Vogliamo vivere” di Ernst Lubitsch (1942). JoJo non è un ragazzino molto coraggioso, per questo lo chiamano “rabbit”. I riti di passaggio dei ragazzini sono crudeli e pericolosi, i ragazzi più grandi imparano le tecniche migliori per bruciare i libri. Un incidente costringe JoJo a casa, e così scopre una ragazzina ebrea che la madre nasconde in soffitta. Passato il primo spavento, ne approfitta per studiare da vicino il nemico. Il ragazzino Roman Griffin Davis è bravo e non lezioso. Il quotidiano Haaretz ha molto apprezzato il film, registrando anche una certa tenerezza nel bizzarro romanzo di formazione. Spettatori adulti, appunto.