Judy
La recensione del film di Rupert Goold, con Renée Zellweger, Finn Wittrock, Rufus Sewell, Bella Ramsey, Jessie Buckley
La struttura del film ha una curiosa somiglianza con “Stanlio & Ollio” di Jon S. Baird. Vuol dire: celebrità sul viale del tramonto che trovano in Inghilterra l’ultima occasione, e se la giocano come possono. Niente di allegro, e anzi molte commosse lacrime se amate il genere biografico-nostalgico. Nel caso di Judy Garland – e dei suoi spettacoli in programma al Talk of the Town di Londra, trent’anni dopo il trionfo con le scarpette rosse di Dorothy nel “Mago di Oz” – il fine carriera si complica con pasticche, alcol, dimenticanze, entrate in scena barcollando, un quinto e molto avventato matrimonio. Già l’inizio della carriera aveva avuto le sue pasticche, gliele davano sul set per stare sveglia e per placare la fame. Tutta colpa degli orchi di Hollywood, che mettono gli occhi sulla ragazzina – il clima da #MeToo esagera un po’ le cose – e garantiscono “un milione di dollari prima dei tuoi 20 anni” (c’era il precedente di Shirley Temple, riccioli d’oro e grandi incassi). Il regista Rupert Goold adatta un testo teatrale, “End of the Rainbow” di Peter Quilter. Siamo nel 1968, Judy Garland vorrebbe strappare al marito la custodia dei figli piccoli (la figlia grande Liza, di cognome Minnelli, va già alle feste in minigonna). Viene cacciata fuori dagli alberghi perché non paga i conti, il lavoro a Londra potrebbe aiutare: lì ancora l’applaudono e fa il tutto esaurito, anche se la voce leggendaria ormai è un ricordo. Renée Zellweger fa rivivere l’ossuta Judy Garland con la sua schiena curva, la bocca esageratamente truccata, le mosse ancora da ragazzina, la pettinatura da folletto, la tendenza a fidarsi della gentilezza degli estranei. Una performance impressionante, a misura di Oscar (le rivali da temere nella sua categoria sono Scarlett Johansson per “Storia di un matrimonio” e Saoirse Ronan per “Piccole donne”). I giurati hanno sempre un occhio di riguardo per le donne infelici, e le attrici che interpretano personaggi realmente esistiti. Il resto del film tende alla didascalia, fa eccezione la cena con la coppia di fan – gay, va da sé – che l’aspettano fuori dal teatro, la invitano a cena, improvvisano una frittata.
Politicamente corretto e panettone