Il richiamo della foresta
La recensione del film di Chris Sanders, con Harrison Ford, Dan Stevens, Omar Sy, Karen Gillian
Il cane Buck ha una vita interiore da fare invidia a tanti umani. Non è colpa della factory Disney, che dopo avere disegnato per decenni animali antropomorfi ora fa marcia indietro, minacciando perfino un “Bambi” in live action (chissà come se la caveranno con i cacciatori che uccidono la mamma del cerbiatto, con colonna sonora horror per accompagnamento: la ricorda come spavento generazionale Gian Arturo Ferrari in “Ragazzo italiano”, Feltrinelli). Buck, che dalla sua comoda casa del giudice in California finisce nello Yukon schiavo a trainare slitte, era già pensoso e riflessivo, con un suo preciso punto di vista sulle cose del mondo, nel romanzo di Jack London, anno 1903, il primo di una fortunata carriera: al cane che ritrova la sua selvaggeria farà poi da contraltare il lupo da addomesticare, in “Zanna bianca” (una fitta di dolore si avverte pensando a “Martin Eden” e allo scempio che ne ha fatto Pietro Marcello, d’altra parte non possiamo alzare il filo spinato attorno agli scrittori che ci piacciono). Quindi, se il Buck di questo film mostra di capire anche i concetti astratti – e ha più espressioni di Harrison Ford mezzo nascosto dal barbone e vestito con un cappotto ricavato da una coperta – non è solo colpa del regista Chris Sanders. L’incrocio tra un San Bernardo e un pastore scozzese (così era nel romanzo, ma non hanno trovato il cane giusto) viene rifatto al computer. Ormai ci siamo abituati, e quando i cani lottano (accadeva anche ne “Il Re Leone”) lo fanno in pose da wrestler. Il segreto si chiama Terry Notary, controfigura umana per il comportamento animale: nel film “The Square”, vincitore a Cannes nel 2017, era il performer-gorilla che terrorizzava il pubblico. Qui ha imitato i movimenti canini, con la tuta blu e i sensori della motion capture. Buck impara a trainare la slitta, poi prende il comando battendosi con il rivale Spitz, fornito di occhi azzurro-nazi. Ma le sciagure non sono finite, ci sono i cacciatori d’oro dilettanti. Fino all’incontro con Harrison Ford, anche lui con i suoi traumi. Da guarire nella capanna remota, vicino ai lupi che aiutano il cane maltrattato a ritrovare l’antica fierezza.
Politicamente corretto e panettone