La mia banda suona il pop
La recensione del film di Fausto Brizzi, con Diego Abatantuono, Paolo Rossi, Massimo Ghini, Christian De Sica
Continua la tradizione gloriosa, tutta italiana, dei film comici slegati da qualsivoglia realtà (per memoria, e per chi non c’era: Leonardo Pieraccioni ambientava le sue redditizie commedie in leggiadri paeselli con tetti di tegole dove nessuno aveva osato installare neanche un’antenna tv). Unico contatto con il mondo che abbiamo attorno, in “La mia banda suona il pop”: la nostalgia per gli anni 80 (con ritardo ma ci siamo arrivati pure noi) e la voglia di salire sul palco a strimpellare e fare le mossette, vestiti di lustrini e stivali con il tacco. Non è un dettaglio: la commedia, per fare ridere, avrebbe bisogno di azzannare qualcosa. Qui, poco o niente. Succede che un magnate russo – vabbé, se cominciate a non crederci adesso siete anche peggio di noi che abbiamo visto il film, e quindi sappiamo come va a finire – voglia festeggiare il suo compleanno con la reunion di un gruppo italiano, i “Popcorn”. I gusti non si discutono, e la canzonetta “Semplicemente complicata” – composta per l’occasione da Bruno Zambrini che già aveva lavorato per “Notte prima degli esami” – ha una sua cantabilità trash (e finalmente riporta il “dolcemente complicate” di Fiorella Mannoia al suo livello).
Il gruppo si era sciolto per corna – ogni riferimento a quartetti realmente esistenti e ancora vegeti è puramente casuale. Tony Brando-Christian De Sica canta ai matrimoni, pagato con gli avanzi del buffet. Micky (Angela Finocchiaro) ha un programma di cucina ma non riesce a reggersi in piedi neanche il tempo della registrazione. L’ipocondriaco Lucky (Massimo Ghini) fa il commesso nel negozio di ferramenta della moglie. Caduto in basso, ma mai quanto Jerry (Paolo Rossi) che canta e suona affidandosi alla gentilezza dei passanti. “Mai più insieme” è la prima risposta, al manager Diego Abatantuono. Saputa la cifra, ci ripensano. Scoprono che la reunion è solo una copertura per un gran furto di diamanti architettato da Olga, scelta dal miliardario russo come capo della sicurezza – “uolga” è bionda come Natasha Stefanenko. Il sistema di sicurezza attorno alla villa ha sensori, labirinto, una tigre siberiana. Il resto è farsa, e una fogna in cui tuffarsi.
Politicamente corretto e panettone