Sin City - Una donna per cui uccidere
Di Frank Miller e Robert Rodriguez, con Josh Brolin, Eva Green, Mickey Rourke (su Netflix, Infinitv, Chili, Rakuten Tv)
Non risponde ai criteri del test di Bechdel, prova di femminismo cinematografico nato da una battuta tra due lesbiche, in un fumetto di Alison Bechdel. Bisogna controllare se ci siano almeno due donne con ruoli parlanti, e che le due signore non parlino di uomini. Non risponde neppure ai criteri, più andanti, di chi pensa che il cinema amico delle donne debba sfoggiare avvocatesse, chirurghe, capitane d’industria (una sfilata che a noi ricorda le Barbie con lo stetoscopio, la valigetta diplomatica, la tuta da astronauta). Non risponde ai desiderata progressisti, ma è la femmina più fantastica che abbiamo visto sullo schermo da un bel po’. Eva Green – nel film tratto dai fumetti di Frank Miller si chiama Ava Lord – è la quintessenza della femme fatale. Un po’ di Barbara Stanwyck: in “La fiamma del peccato” fa uccidere il marito dall’amante Fred MacMurray, giusto l’assicuratore che le aveva proposto una polizza sulla vita. Un po’ di Lana Turner, in “Il postino suona sempre due volte”. Un po’ di Kathleen Turner, sublime manipolatrice in “Brivido caldo” di Lawrence Kasdan. Ava Lord ha un marito miliardario, un autista-guardia del corpo che per lei si fa torturare, e un ex amante con la faccia di Josh Brolin, new entry assieme a Joseph Gordon-Levitt in un cast che ricupera dal primo “Sin City” Mickey Rourke, Jessica Alba, Rosario Dawson. Infinocchia tutti e tre, racconta bugie, si atteggia a fanciulla innocente quando le torna comodo, fa la vamp con il poliziotto incaricato delle indagini. Il film usa il fumetto in bianco e nero come storyboard, unica infedeltà le tre dimensioni. Purissimo pulp, violento e rinforzato da battute che stanno tra James M. Cain e Raymond Chandler. E gran divertimento, ce n’è bisogno.
Politicamente corretto e panettone