Lontano lontano
Di G. Di Gregorio, con G. Di Gregorio, E. Fantastichini, G. Colangeli, G. Ranzi (RaiPlay)
Pensionati disorganizzati. Dal racconto con lo stesso titolo che Gianni Di Gregorio ha pubblicato da Sellerio (ce ne sono altri due, nel libriccino: nel primo si racconta, tra altri dettagli, che mettersi in fila non è solo ordine e disciplina, è soprattutto calore, come il bue e l’asinello). Scrivere è sempre meno complicato che girare un film. Lo scrittore immagina “una piazza affollatissima e festante” e non c’è bisogno delle comparse per renderla credibile sullo schermo. Vale per quando le piazze si potranno riempire di nuovo, nel frattempo viviamo con il timore che saremo d’ora in poi condannati a film con due persone al massimo, a distanza di sicurezza. Poche copie di “Lontano lontano” hanno fatto un breve giro nelle sale prima che chiudessero, e ora che i cinema (pochi, per la verità) riaprono va in streaming su RaiPlay.
Quasi tutto girato a Trastevere, ora in un bar, ora in un mercato (l’unica uscita fuori quartiere è nella villa dove abita Ennio Fantastichini) racconta i teneri deliri di Gianni Di Gregorio e dell’amico Giorgio Colangeli, che vive solo e cede ogni tanto la doccia di casa a un ragazzo nero e clandestino. Hanno pochi soldi, si vedono e si raccontano “chi è morto” tra le comuni conoscenze, e tentano il colpo della vita: andarsene all’estero. Sanno che è il sogno di tutti i pensionati italiani, ma non sanno ancora esattamente quale estero – intanto l’impiegata delle poste chiude lo sportello quando arriva il ragazzo del bar con i caffè per tutto l’ufficio. Roberto Herlitzka spiega le variabili da tenere presente – tra i paesi messi bene c’è la Bulgaria, ma non attira nessuno. Intanto sbrigano le ultime faccende e contano i pochi soldi che riescono a mettere insieme. La scena all’ufficio Inps, vista dopo il presunto hackeraggio, e i ritardi nei pagamenti della cassa integrazione promessa alla velocità del fulmine, non riesce neppure più a fare ridere. Le case – nella loro miseria, nel disordine, nel vorrei ma non posso – sono azzeccate, qualche battuta funziona, ma non c’è il ritmo né la crudeltà ammirata in “Pranzo di ferragosto”, il film prodotto da Matteo Garrone che fece conoscere Gianni Di Gregorio.