Perché amiamo Sinisa Mihajloviç
La cosa che abbiamo sempre amato di questo difensore duro e di questo uomo ironico, di questo allenatore con i piedi per terra e le palle fumanti, è l’inventiva
Gesù Bambino lo sa, quanto amiamo Sinisa Mihajloviç. Perché portò i colori della notte e poi fu vice panchina della notte. E sa quanto abbiamo invidiato i cugini che ce lo soffiarono (e per farne cosa, poi?). Ma non è solo per questo che lo amiamo, Sinisa. E neanche perché, intelligenza superiore alla media, come ogni serbo che si rispetti, arrivato sulla panca della Samp citò, invece del solito Trap, il buon JFK: “Non chiedetevi cosa può fare la Sampdoria per voi, ma cosa voi potete fare per la Sampdoria”. No, la cosa che abbiamo sempre amato di questo difensore duro e di questo uomo ironico, di questo allenatore con i piedi per terra e le palle fumanti, è l’inventiva. Prima del derby, si è inventato di portarsi appresso in conferenza stampa pure Renato “Socrates” Cornaglia, storico capo ultras granata, un magazziniere e il figlio del grande Capitan Ferrini. “La Juve deve sapere che non giocheranno solo contro 11 giocatori, ma contro tutta la nostra gente”. Una cosa più suicida e autolesionista non poteva farla. O meglio, ne aveva già fatta una quasi peggio. Quando la Nato bombardava la Serbia e lui, vecchio amico belgradese della Tigre Arkan, s’infilò sotto la maglia della Lazio la canotta col “target” per dire “Stop Nato Now”. Finì come finì. Domenica ha detto: “Abbiamo giocato alla pari con la Juventus”. Un po’ come Slobo Milosevic: ha offerto il petto col target, ha sbagliato tre cambi su tre, e ha preso tre pere.
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