Una manifestazione a San Francisco contro la canonizzazione di Junipero Serra

In America fa scandalo il Papa che canonizza il “flagellatore” Serra

Matteo Matzuzzi
La sua statua simboleggia la California a Capitol Hill, ma c’è chi la vorrebbe rimuovere. Accusato di genocidio dai nativi indiani, difeso da chi lo ritiene il capostipite della cristianizzazione del Far West. Per Francesco è uno “dei padri fondatori”. Gli storici: “Era un uomo dei suoi tempi”.

Roma. Quel che bisogna evitare di fare è di andare a guardare quanto è santo il santo. La risolve così, lo storico californiano Kevin Starr, la disputa tutta americana sulla ormai prossima canonizzazione del già beato Junipero Serra (in programma il 23 settembre a Washington alla presenza del Pontefice), il protettore degli ispanici statunitensi, il frate francescano spagnolo che nel tardo Settecento portò alla causa della chiesa cattolica e della corona di Madrid le vaste e per lo più desolate terre dell’Alta California. Evangelizzazione, dicono i suoi sostenitori. Di conquista, invece, preferiscono parlare i suoi tanti detrattori, attivi negli ultimi mesi nel manifestare davanti alla cattedrale di Los Angeles contro la decisione “del Papa bianco” (e il riferimento non è alla candida veste del vescovo di Roma) di sancire la santità di quello che i discendenti delle antiche tribù indiane vedono come un conquistador in saio dedito a flagellare chi era restio a convertirsi. “I santi non devono essere perfetti. Nessuno è perfetto e anche i santi sono imperfetti”, chiosava Starr dal suo ufficio alla University of Southern California, dando un simbolico via libera alla grande celebrazione in programma a Washington la prossima settimana, presieduta da Francesco in persona. Junipero Serra divide le coscienze più oggi che ieri. Nel 1931, la sua statua fu portata in Campidoglio, come uno dei due emblemi, motivi di vanto e d’orgoglio, dello stato californiano (l’altro era Thomas Starr King, rimpiazzato nel 2009 dalla statua bronzea di Ronald Reagan). Installata a Capitol Hill tra fanfare e bandiere sventolanti. Poi, a partire dagli anni Sessanta, è iniziata, prima lenta e poi sempre più forte, la campagna revisionista. Si andavano a spulciare i ricordi dei discendenti degli indiani convertiti, i diari conservati in qualche missione – Serra ne fondò ventuno, a distanza di un giorno di cammino l’una dall’altra, fino alla valle di Sonoma, oltre l’odierna San Francisco – qualche verbale conservato in biblioteche o archivi spagnoli o californiani. Ed emerse quel che era ovvio: Junipero Serra convertì le masse secondo gli usi dell’epoca, che comportavano anche l’uso della frusta, se necessario. Gogna e flagellazione erano la norma per chi lasciava la missione, per chi dopo essersi convertito con il battesimo scappava. La punizione corporale ripristinava il vincolo con la comunità e serviva da monito per tutti gli altri. Adesso c’è chi vorrebbe togliere quella statua: il Senato californiano ha già dato un primo via libera per sostituire il frate francescano con Sally Ride, la prima americana a viaggiare nello spazio, anche se il governatore Jerry Brown ha garantito che Junipero Serra rimarrà a brandire il suo crocifisso di bronzo nella National Statuary Hall “fino alla fine dei tempi”.

 

Il fatto è che il religioso maiorchino ha nulla del physique du rôle del santo come oggi è universalmente inteso, spesso un’immaginetta corredata da cherubini oranti e varietà floreali. Serra era un asceta, “nutriva una preferenza morbosa per il dolore”, tanto da procurarselo quotidianamente. E poi era un inquisitore spietato, almeno nei suoi anni messicani. Sono gli intellettuali gesuiti, soprattutto, ad aver capitanato la corrente revisionista, mettendo nel mirino il sistema delle missioni da lui (e dai suoi confratelli) messo in piedi a quelle latitudini, in particolare nell’ultimo quarto del Settecento, dopo la soppressione della Compagnia decisa da Papa Clemente XIV.  I nativi erano costretti con la forza a rimanere in quei luoghi che parevano piccole piazzeforti. Non potevano scappare. Venivano indottrinati con poco riguardo per i crismi dell’inculturazione e battezzati quando a malapena sapevano che quello messo in croce era Gesù Cristo. Eppure, lì erano trattati assai meglio di quanto erano soliti fare i soldati spagnoli e Serra spesso prendeva le difese degli indiani a lui affidati. Era un missionario animato da uno spirito paternalista; il suo intento era di elevare gli indigeni dallo stato di inferiori a uomini. Niente di diverso da quanto accadeva con le popolazioni dell’Africa, insomma. “Come il novantanove per cento della gente in Europa di quel tempo, egli pensava che i non europei erano inferiori agli europei. C’era un grande dibattito nella prima fase dell’Impero spagnolo se i nativi fossero esseri pienamente razionali o meno”, ha scritto Robert Senkewicz, docente di storia alla Santa Clara University e autore (spesso con la moglie, Rose Marie Beebe) di decine di libri sulla nascita della California. “Gli spagnoli di quel tempo credevano che i popoli indigeni delle americhe si trovassero in uno stato di ‘infanzia naturale’; erano convinti che fossero come bambini. Serra condivideva questa visione e si comportava di conseguenza, in un modo che tutti oggi avrebbero difficoltà a giustificare”, ha aggiunto Senkewicz.

 

[**Video_box_2**]“Ma non è un padre fondatore”
Va bene tutto, “ma non lo si chiami padre fondatore” come ha fatto il Papa, ha scritto su America Magazine il padre gesuita Jim McDermott: usare quella definizione “è un modo di indicare la sua importanza nella storia generale della nazione, e di mettere in evidenza che l’originaria storia degli Stati Uniti va oltre la storia della East Coast”. Ma parlare di padre fondatore a proposito di Junipero Serra “crea solo problemi. L’America del nord non era un continente vuoto in attesa di essere riempito. Parlare poi di colonizzazione europea come di una ‘fondazione’ ignora e oscura i tanti innocenti i cui corpi giacciono sepolti sotto le fondamenta del nostro paese”, ha aggiunto McDermott, a giudizio del quale Serra è stato centrale “come lo furono John Winthrop o William Penn”. Insomma, non un Washington, un Jefferson o un Franklin. Ma l’intento del Pontefice, decidendo di canonizzare il francescano di Maiorca, non sembra essere quello di santificare il sistema delle missioni né le pratiche del tempo. Semmai, si tratta di riconoscere – usando le parole di Francesco – “il suo slancio missionario” che portò a una  “nuova primavera evangelizzatrice in quelle terre sconfinate”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.