Depoliticizzare il Papa
New York. Nel briefing della Casa Bianca con i giornalisti in preparazione alla visita di Papa Francesco, l’accento dei funzionari dell’Amministrazione è caduto sul carattere “morale e spirituale” della figura del Papa e sulla natura essenzialmente “pastorale” della sua visita. Il gran consigliere Ben Rhodes ha cesellato con cura le parole per separare l’identità carismatica del Pontefice da quella del leader di uno stato che agisce anche politicamente, come si è visto nella mediazione diplomatica esercitata nel disgelo su Cuba. E’ la figura apolitica, il vicario di valori condivisibili quello che la Casa Bianca si prepara ad accogliere.
Di fronte alle domande dei cronisti sui delicati punti di dissenso fra la chiesa e il governo, ha ripetuto che quello in visita la settimana prossima in America, pur con un’agenda fittissima di impegni politici (Onu, Congresso, Casa Bianca), è innanzitutto una figura spirituale. Popolare, stimata, riverita, un “timone morale del mondo”, come aveva detto il vicepresidente Joe Biden, ma pur sempre eterea, separata dai congegni della politica. Elencando alcune delle grandi questioni in agenda, Rhodes ha citato la libertà religiosa – tema caldissimo per i vescovi americani viste le recenti sentenze che mirano a ridurre la libertà religiosa a mera libertà di culto – ma soltanto in riferimento alle “minoranze in medio oriente”. “Non vogliamo creare nessuna aspettativa sul fatto che il Papa sia una voce che si occupa della politica americana”, ha detto Rhodes, suggerendo una manovra di depoliticizzazione della figura papale ben rappresentata da un titolo del Washington Post: “Nella visita di Papa Francesco la Casa Bianca vede un’opportunità di trascendere la politica”. Il Papa, insomma, è libero di dire ciò che vuole sui temi politicamente sensibili, ma saranno accolti come moniti ideali, senza ricadute politiche.
L’opera di separazione orchestrata dalla Casa Bianca ha subìto un brutto colpo ieri, quando il Wall Street Journal ha riportato il nervosismo del Vaticano per gli inviti fatti dalla Casa Bianca per la cerimonia nel South Lawn di mercoledì prossimo: ci saranno attivisti gay come Mateo Williamson, ex direttore dell’associazione Dignity Usa, Gene Robinson, il primo vescovo episcopaliano gay – già sposato con un altro uomo – e sarà presente anche suor Simone Campbell, portabandiera del gruppo di suore americane da anni in conflitto con il Vaticano sulle questioni più sensibili, dall’aborto all’accesso gratuito ai contraccettivi. La Santa Sede, riporta il Journal, non ha gradito affatto la scelta degli invitati, soprattutto se si considera che per il momento non risulta che siano stati convocati rappresentanti del mondo pro life.
[**Video_box_2**]E’ un altro tassello dell’opera di depoliticizzazione di Francesco, ridotto, anche nei dettagli del protocollo, a generico portabandiera del dialogo con il mondo. Almeno quando il dialogo s’accorda con gli obiettivi della Casa Bianca. Se sulle questioni sgradite a Obama è un simbolo puramente spirituale, su quelle convergenti un qualche valore politico il Papa lo assume, come sulla lotta alla povertà e il climate change, a proposito del quale i funzionari della Casa Bianca sottolineano con grande enfasi la rilevanza dell’enciclica Laudato Si’. Il segretario di stato vaticano, Pietro Parolin, ha però ricordato ieri che l’enciclica non è solo un documento sui cambiamenti climatici, e Francesco “non mancherà di ribadire quella che è la natura trascendentale della persona, dalla quale scaturiscono i suoi diritti fondamentali, soprattutto il diritto alla vita e alla libertà religiosa”. Esattamente le cose di cui Obama non vorrebbe parlare.
Dalla Casa Bianca dicono che il faccia a faccia nello Studio ovale sarà “la prosecuzione del dialogo iniziato lo scorso anno”, ma quando si tratta di stabilire gli effettivi argomenti del dialogo, Washington e il Vaticano danno due versioni diverse. Obama ha detto che Oltretevere hanno discusso essenzialmente di “poveri, marginalizzati e delle diseguaglianze”, mentre la Santa Sede ha spiegato che, oltre ai conflitti in medio oriente, i due si sono soffermati “su questioni di speciale rilevanza per la chiesa nel paese, come l’esercizio dei diritti alla libertà religiosa, alla vita e all’obiezione di coscienza nonché il tema della riforma migratoria. Infine, è stato espresso il comune impegno nello sradicamento della tratta degli esseri umani nel mondo”.
Prosecuzione del dialogo iniziato a Roma, dunque, ma quale dialogo? E soprattutto: con quale interlocutore? Con il Papa che scrive lettere a Vladimir Putin e fa da pontiere con il regime cubano o con un padre prodigo di ottimi consigli che la politica accoglierà selettivamente? “Ci concentreremo più sui valori che sui risultati materiali”, ha spiegato Charles Kupchan, direttore della sezione del Consiglio di sicurezza nazionale che si occupa di Europa. Quando si tratta di “risultati materiali” non si può non pensare alla situazione in Siria, sulla quale il Vaticano è in prima linea, ma la Casa Bianca non lo menziona fra gli argomenti di conversazione fra Obama e Francesco. Saranno Parolin e la delegazione della segreteria di stato ad affrontare l’argomento con la controparte americana in un incontro separato.
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