Ambientalismo, ricambio generazionale tra i fedeli e diplomazia planetaria. Gli obiettivi del bilaterale
Washington. Il Papa “figlio di una famiglia di migranti” ha iniziato il suo discorso alla Casa Bianca dalla libertà religiosa, questione spinosa per Barack Obama e in cima alla battagliera agenda dei vescovi americani, ma per l’ambasciatore Jim Nicholson la vera sorpresa è “il tempo che ha deciso di dedicare, in uno spazio così breve, al tema dei cambiamenti climatici, cosa che indica l’importanza che la cosa ha per la Santa Sede. Non ha fatto una lezione a Obama sull’aborto e sull’eutanasia, ma dando spazio all’ambiente ha cercato uno spazio di dialogo”. E le implicazioni politiche della posizione del Papa sulla cura della “casa comune”, dove si realizza la convergenza con l’amministrazione americana e la linea dell’Onu, sono fra quelle che più fanno storcere il naso ai conservatori come Nicholson, che è stato ambasciatore degli Stati Uniti presso il Vaticano dal 2001 al 2005, e prima ha guidato il partito repubblicano.
Dopo l’incarico alla Santa Sede, George W. Bush lo ha nominato segretario dei veterani. Accanto alle foto con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, nel suo ufficio campeggia quella con Ronald Reagan, una triade cara ai cattolici conservatori americani e certamente animata da un carisma diverso rispetto a quello che soffia oggi da Oltretevere. Nicholson è un tifoso entusiasta di Papa Francesco, “una figura eccezionale che può avere un effetto rinfrescante per noi cattolici e anche per chi non crede”, ma non gli sfuggono certo le tensioni con il mondo conservatore americano quando si parla di capitalismo e ambiente. “Di certo ci sono delle divergenze sulle priorità politiche – dice Nicholson al Foglio – e per noi americani non è facile capire le critiche a un sistema economico che ha portato a generare più prosperità e libertà qui che in qualunque altra parte del mondo, e io mi auguro che questo viaggio sia l’occasione per lui di vedere in prima persona le opportunità dell’esperimento americano”. Il climate change “è una questione globale fondamentale”, ma il Papa la affronta da un punto di vista esistenziale “senza lasciarsi trascinare in dispute ideologiche”. “Molto dipende anche da qual è il destinatario del messaggio papale: trovo sia giusto rivolgere all’America un appello a prendersi cura responsabilmente del pianeta, ma non penso proprio, per esempio, che in nome dell’ambiente il Papa voglia impedire ai paesi più poveri di accedere ai combustibili fossili. Sarebbe un modo per condannarli in eterno alla povertà, l’esatto contrario di quello che Francesco predica”, spiega Nicholson. Se da una parte il Papa è una figura universale, che vola sopra e si muove attraverso gli schieramenti politici, senza farsi rinchiudere in un’agenda di governo, dall’altra “come capo di stato è normale e legittimo che entri nel terreno della politica, segnalando ciò che sta a cuore alla chiesa nel dibattito pubblico”.
Sul fronte diplomatico è noto il ruolo decisivo della Santa Sede nel disgelo americano con Cuba, e Nicholson si augura che “possa avere un ruolo nei negoziati sulla Siria, per mettere fine a una tragedia che affligge il popolo e minaccia l’umanità intera. Non so se il Vaticano stia lavorando in questa direzione, ma sono certo che il Papa lo desidera e se ci saranno le condizioni non perderà l’occasione per intervenire in modo decisivo”. Cosa sperano di portare a casa la Santa Sede e il governo americano da questa visita? “Per il Vaticano io credo sia importante dare una parola che ringiovanisca la comunità dei cattolici qui, cosa che Francesco, con le sue grandi doti di comunicatore, può fare in modo potente. L’Amministrazione certamente non vuole perdere l’occasione per sottolineare la sintonia su alcuni temi, e credo che capitalizzerà i riferimenti di Francesco all’ambiente. Il discorso di ieri di Francesco credo che faciliti il compito per il governo americano”.
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