Ius soli e cittadinanza: un dibattito che non coglie nel segno
Gli stranieri stabilmente residenti in Italia hanno diritto ad esercitare i diritti politici. La cittadinanza non c’entra nulla ed i bambini con le bandierine in mano ancor meno
A quanto pare all’interno del dibattito sullo ius soli non c’è spazio per una posizione differente da quelle che si stanno contendendo il campo e che vedono, da un lato, coloro che pensano sia giunto il tempo di compiere un atto di civiltà, riconoscendo la cittadinanza ai bambini stranieri che nasceranno sul suolo nazionale, e dall’altro, quanti, ritengono, invece, necessario preservare la cittadinanza da una contaminazione extra nazionale.
Nelle argomentazioni degli uni si avvertono accenni di auto condanna della comunità italiana, come se si dovesse riparare la grave ingiustizia di avere escluso dalla cittadinanza decine di migliaia di individui degradati a sudditi. In quelle degli altri si coglie la riproposizione di un modello di identità nazionale che dovrebbe caratterizzare una comunità statale per omogeneità di cultura, lingua, tradizioni e religione.
Coinvolti nella propaganda, fra immagini di bambini di colore che impugnano orgogliosi il tricolore italiano e manifesti pubblici che ricordano come ai cittadini italiani mancherebbe l’assistenza che si pretende di riconoscere agli stranieri, quasi tutti trascurano di rappresentare, invece, quale sia la reale condizione giuridica dello straniero in Italia e come si sia evoluta a livello internazionale la nozione di cittadinanza.
Grazie all’esplosione di quella intuizione che portò i rivoluzionari francesi a redigere una dichiarazione universale dei diritti che valesse non solo per i cittadini ma per gli uomini tutti, successivamente alla seconda guerra mondiale la cultura dell’effettività dei diritti umani, consacrata in numerose Carte internazionali come la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, ha condotto gli ordinamenti giuridici delle liberal democrazie occidentali a riconoscere progressivamente agli stranieri uno statuto giuridico pressoché identico a quello dei propri cittadini, imponendo un’interpretazione delle Costituzioni nazionali (è il caso dell’Italia, ad esempio) che consentisse di coprire sotto l’ombrello della tutela dei diritti fondamentali anche quanti cittadini non sono mai stati e mai lo saranno.
Solo per restare al caso italiano, per esempio, si deve registrare come oggi gli stranieri regolarmente residenti nel nostro Paese godano di tutti i diritti e le libertà fondamentali consacrate nella Costituzione repubblicana. Si va dal naturale riconoscimento di tutte le libertà cosiddette negative, come quelle di circolazione, manifestazione del pensiero, associazione, religione, alla tutela dei principali diritti sociali di prestazioni quali il diritto al lavoro, alla pensione, all’assistenza sociale, all’istruzione, alla sanità, agli assegni sociali e all’invalidità civile.
Il nucleo indefettibile dei diritti fondamentali è, poi, riconosciuto a prescindere dalla preventiva verifica della condizione di straniero regolarmente soggiornante in Italia, così che molto opportunamente “Ai cittadini presenti nel territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno, sono assicurate, nei presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative per malattia ed infortuni e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva”.
L’effettiva equiparazione fra cittadini e stranieri che soggiornano regolarmente in Italia è esclusa, invece, con riguardo ai diritti politici e all’elettorato attivo e passivo. Si tratta, tuttavia, di diritti soggettivi pubblici che dovrebbero essere ricondotti non già alla qualità di cittadino di una determinata comunità nazionale, quanto a quella di soggetti che, in quanto stabilmente residenti all’interno di una comunità locale e statale, hanno diritto di partecipare alla determinazione di quelle decisioni pubbliche di cui saranno inevitabilmente destinatari.
Non può residuare alcun dubbio sul fatto che lo straniero stabilmente residente in Italia, e che qui paghi le tasse, abbia il sacrosanto diritto di partecipare alle decisioni politiche che concernono, ad esempio, la produzione e la qualità dei servizi pubblici che riceve, la realizzazione delle infrastrutture che è destinato ad utilizzare, il livello di prelievo fiscale che gli si impone e così via discorrendo.
Ma si tratta, come detto, di diritti che si radicano nell’effettiva partecipazione “fisica” dello straniero alla vita di una comunità e non già nel concetto obsoleto di cittadinanza che richiama, invece, appartenenze a dimensioni omogenee di natura etica, morale, culturale e storica di cui nessuno oggi avverte l’esigenze nell’epoca di un mondo globalizzato multi culturale all’interno del quale diritti e libertà sono riconosciuti a prescindere dallo Stato cui formalmente si appartiene.
Naturalmente, l’argomentazione vale anche “a contrario”, vale cioè per quei cittadini “formalmente” italiani che risiedono stabilmente all’estero e ai quali dovrebbe essere negato l’esercizio dei diritti politici in Italia in ragione del fatto che non subiscono gli effetti delle decisioni pubbliche che, tuttavia, contribuiscono ad assumere.
D'altro canto, sotto il profilo dei doveri individuali, fatta eccezione per il "sacro" dovere di difendere la Patria di cui all'art. 52 Cost. (sulla cui attualità ci sarebbe molto da discutere), anche gli stranieri appaiono su un piano di perfetta parità rispetto ai cittadini italiani.
Appare chiaro, allora, come la questione non dovrebbe iscriversi all’interno di un dibattito sulla nozione di cittadinanza (che un po' dovunque in occidente ha abbandonato i connotati della “nazionalità” e del senso d’appartenenza) ma dovrebbe riguardare innanzitutto (e fors’anche esclusivamente) il diritto degli stranieri stabilmente residenti in Italia a partecipare alle decisioni pubbliche che investono le sorti delle comunità cui fanno parte. Decisioni che possono essere assunte solo da individui (cittadini italiani o stranieri) maturi e maggiorenni. Non a caso, infatti, il comma 2 dell'articolo 4 della legge n.91/1992 attribuisce automaticamente la cittadinanza italiana allo straniero nato in Italia che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età.
I bambini, dunque, dovrebbero continuare a giocare in santa pace.