Romano Prodi (foto LaPresse)

Prodi chi? Quello che si crede migliore di Margaret Thatcher e Ronald Reagan messi insieme?

Rocco Todero

Il professore bolognese intervenendo ad un convegno organizzato dall’Istituto Cattaneo ha riproposto la solita ricetta social democratica: Stato, tasse e spesa sociale

Al giornalista Corrado Formigli va attribuito il merito di aver permesso al grande pubblico di conoscere i contenuti dell’intervento che Romano Prodi ha tenuto in occasione di un dibattito organizzato dall’Istituto Cattaneo qualche settimana fa a Bologna.

 

Davanti all’economista Joseph Stiglitz, che serafico ha annuito per tutto il tempo, l’ex Presidente del Consiglio ha esposto la summa del pensiero social democratico, quella che affida la soluzione di qualsiasi problema sociale ai vecchi arnesi dell’elevata tassazione, della redistribuzione, della spesa sociale e di un intervento statale pervasivo.

 

Prodi ha preso le mosse da una riflessione che oramai può essere a buon diritto definita poco originale; la litania è che a partire dagli anni ottanta le diseguaglianze sociali non accennerebbero a diminuire ma progredirebbero a spron battuto senza alcun limite. Si tratterebbe di divari che secondo l’ex Presidente dell’IRI non è possibile eliminare facilmente per mezzo di un ulteriore aumento della tassazione (per quanto auspicabile), atteso che la gente non vuol sentir parlare di incrementi della pressione fiscale e non c’è verso di vincere le competizioni elettorali convincendo i cittadini della necessità dell’ennesimo aumento delle tasse.

 

Quell’imbroglione di Berlusconi (il giudizio non è di Prodi ma così ci pare di potere interpretare la sua esposizione) avrebbe recuperato, nel corso di una campagna elettorale, ben 5 punti percentuali di consenso per avere promesso l’abbattimento delle tasse. Quindi figuriamoci se è possibile andare al Governo predicando contro la diminuzione delle pretese tributarie statali.

 

Gli elettori, in sostanza, secondo l’ex Ministro del Tesoro italiano, non avrebbero ancora compreso che la dottrina dell’ex Premier inglese Margaret Thatcher e dell’ex Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, di favorire la crescita economica per mezzo della sostanziale riduzione delle aliquote marginali, sarebbe gravemente sbagliata (Prodi per sottolineare il suo giudizio negativo ribadisce con enfasi per ben due volte che quelle politiche si sono rivelate errate).

 

Se a tutto questo aggiungiamo che l’automazione sta creando ulteriore disoccupazione e che gli elettori (sbagliando ancora un’altra volta) non accetterebbero di buon grado la tassazione di multinazionali come Google, Apple ed Amazzon, sostiene l’ex Presidente della Commissione europea, si comprenderà facilmente come l’analisi risulti semplice (dice proprio così Prodi) e la soluzione ai problemi attuali ancora più scontata: più tasse, maggiore presenza statale ed incremento della spesa sociale finché serve.

 

Non sappiamo come sia proseguito il dibattito al convengo di Bologna dopo l’intervento di Romano Prodi, ma sarebbe stato davvero interessante misurare la sua reazione dinanzi alle seguenti osservazioni.

 

Dovrebbe apparire del tutto naturale, in primo luogo, che gli elettori preferiscano un livello non elevato di tassazione e respingano a priori le proposte politiche che si reggono prevalentemente sullo sfruttamento dei ceti più produttivi. Forse i cittadini percepiscono agevolmente come sia troppo facile risolvere il problema della povertà scommettendo esclusivamente sulla redistribuzione della ricchezza già esistente ed intuiscono che non vi è alcun merito nel tenersi lontani dalla scommessa sulla crescita economica, sulla produttività, sull’innovazione e sul libero commercio. Se la soluzione fosse solo quella di aumentare le tasse sarebbe sufficiente utilizzare un algoritmo che di tanto in tanto pervenga al calcolo esatto del livello di tassazione necessario per raggiungere un’equa redistribuzione delle risorse esistenti (ma cosa sarebbe equo in defintiva?).

 

Occorrerebbe, poi, forse un po' più di cautela da parte del Professore nel bollare senza appello le politiche economiche e fiscali di due giganti del XX secolo come Ronald Reagan e Margaret Thatcher. Si tratta, infatti, di leader di straordinaria levatura, confermati più volte dal popolo sovrano alla guida di due delle democrazie più antiche e solide del mondo e sulle cui orme hanno camminato persino successori di avversi partiti politici (basti pensare a Blair e a Clinton). Due statisti che hanno avuto il coraggio di abbassare aliquote marginali confiscatorie che raggiungevano allora il 70 ed anche l’85%.
Probabilmente Prodi ha dimenticato che la Lady dei ferro, per esempio, grazie alle politiche liberiste ha potuto vantare tra il 1979 ed il 1990 una riduzione del debito pubblico inglese dal 52% al 32% del PIL, un decremento del deficit annuale dal 5 al 2%, un sostanziale dimezzamento dell’inflazione (dal 16 all’8%), una diminuzione dell’aliquota base dell’imposta personale sul reddito dal 33 al 25% e di quella marginale dall’85 al al 40%. E tutto ciò mantenendo costanti il livello del gettito complessivo, la spesa sociale e quella in ricerca e sviluppo.

 

Allo stesso modo è probabile che l'ex Presidente del PD non abbia considerato come ciò che sta avvenendo all’interno dell’economia globale da quando operano giganti tecnologici del calibro di Apple, Microsoft, Google e Facebook assume le stesse sembianze di quello che accadde quando i cavalli furono sostituti dai treni, le barche a vela dai piroscafi, i calessi dalle automobili, le candele dall’elettricità e la macchine da scrivere dal computer. Si chiama progresso; distrugge posti di lavoro che non servono più a niente e a nessuno e ne crea di nuovi per remunerare i quali la gente non batte ciglio nel mettere mani al portafoglio o, per meglio dire, nel digitare il numero della propria carta di credito.

 

Sono miliardi di consumatori in grado di comprendere che la tassazione predatoria dei giganti del web non avrebbe altro effetto se non quello di aumentare il costo dei beni e servizi che quelle straordinarie multinazionali offrono sul mercato globale (ed ecco spiegato quello che pare sfuggire al professor Prodi  e cioè le ragioni della contrarietà della “gente” all’elevata tassazione di Google, Facebook, Amazon e via elencando).

 

Ma l’interrogativo che sarebbe stato davvero interessante porre a Romano Prodi a conclusione dell’esposizione delle suesposte osservazioni al suo intervento poteva essere questo: Lei non pensa, caro Professore, che l’Italia del 2017, quella che soffre del 132% di debito pubblico, di una crescita economia asfittica, di una disoccupazione galoppante, di una produttività stagnante e di altri mille mali ancora, sia ridotta in questo stato anche perché persone come Lei sono state nel corso degli anni, deputati, Ministri, Presidenti dell’IRI, Presidenti del Consiglio dei Ministri e Presidenti della Commissione Europea?