"Obbligheremo". Il verbo del Ministro Franceschini
In un’intervista rilasciata qualche giorno fa il titolare dei Beni culturali ha esposto il suo pensiero (discutibile) su Amazon, Netflix e la tutela della cultura italiana
Va dato atto al Ministro Dario Franceschini di avere parlato chiaro nell’intervista rilasciata qualche giorno fa al quotidiano La Stampa.
Il Titolare dei Beni culturali non ha usato particolari circonlocuzioni per edulcorare il suo pensiero ed è stato preciso come una saetta. I colpi sono stati sferrati uno dopo l’altro senza alcuna esitazione. Primo fendente: lo Stato obbligherà Netflix a promuovere opere di produzione italiana “compatibilmente ad una programmazione senza fasce orarie”.
Secondo fendente: lo sconto che i rivenditori di libri possono praticare agli acquirenti nella misura massima del 15% forse è troppo elevato e sarebbe meglio abbassarlo al 5% come in Francia. D’altronde dobbiamo difendere i piccoli librai introducendo un tax credit per contrastare Amazon, perché se qualcuno non se ne fosse ancora accorto “La piccola libreria è un bene che va tutelato dallo Stato, perché è insieme identità e bellezza immateriale”, ha detto il Ministro.
Terzo fendente: stiano attente le industrie televisive. Il nuovo obbligo di trasmettere sopratutto in prime time produzioni nostrane è una cosa seria; non pensassero di cavarsela "mandando un film italiano alle due di notte”.
Volendo utilizzare lo stesso registro linguistico spartano del Ministro Franceschini possiamo affermare che quello documentato dal quotidiano torinese è un pensiero allo stesso tempo statalista e paternalista, che disprezza la libera iniziativa privata, l’innovazione, la modernità e che fonda la propria legittimazione esclusivamente sull’assurda violenza della forza dell’autorità pubblica.
Il Ministro Franceschini forse non si avvede d’interferire, con la forza della legge e con la minaccia delle sanzioni (sino a milioni di euro per chi non si sottomette a questa discutibilissima pensata), all’interno di uno scambio volontario fra privati consenzienti.
Un’impresa organizza l’insieme dei suoi beni aziendali per offrire un servizio a milioni di utenti, i quali si affacciano alla finestra del negozio virtuale e selezionano in assoluta libertà ciò che preferiscono, decretando il successo o il fallimento dell’iniziativa commerciale. In questo scambio non c’è traccia di violenza o costrizione. Netflix espone dietro la propria vetrina virtuale ciò che gli aggrada, quello che riesce a comprare dai suoi fornitori ai prezzi che ritiene di accettare. L’utente finale acquista se trova quello che cerca, diversamente si rivolge altrove.
Allo stesso modo Amazon pratica i prezzi ai consumatori finali sulla base delle condizioni contrattuali che riesce a strappare agli editori in virtù del valore aggiunto che rappresenta la sua vetrina sul web.
Le televisioni private trasmettono in prime time quello che ritengono possa avere maggiore attrattiva per il pubblico e, di conseguenza, per gli inserzionisti pubblicitari.
Viene da chiedersi, allora, perché nel corso di questa cooperazione volontaria debba intervenire a gamba tesa lo Stato. Perché l’Autorità (sotto minaccia di utilizzare la violenza della sanzione) deve imporre ad un rivenditore di tenere nel suo catalogo una determinata categoria di prodotti? Perché alcune imprese che producono audiovisivo italiano devono vedersi assicurato dal “Padrino Stato” un posto in prima fila all’interno di piattaforme televisive o cinematografiche pensate, costruite e mantenute da privati con denari privati? Qual è il bene pubblico che lo Stato vuole così tutelare? Forse la salute mentale dei suoi cittadini? Perché si deve salvaguardare la piccola libreria? Quale legge della natura lo impone?
Non dovrebbero essere gli individui a scegliere liberamente se acquistare un volume all’interno di una libreria del centro storico invece che seduti davanti allo schermo di un pc? Forse è fatto divieto alle librerie di chiudere, fallire e lasciare il posto a qualche altra attività commerciale? O per caso i librai sono adesso titolari di un diritto acquisito di non subire la concorrenza di alcuna impresa innovativa? Hanno diritto di essere librai sino alla pensione senza la preoccupazione di vivere e sopravvivere come qualsiasi altro imprenditore che opera dentro l’incertezza del mercato?
Perché non si è pensato di vietare la vendita dei quotidiani via smart phone, considerato che negli ultimi anni questa innovazione ha causato la cessazione di migliaia di edicole e la disoccupazione di altrettanti giornalai?
Ed ancora, il gusto estetico del Ministro che non gradisce “negozi tutti uguali, che vendono magliette o che fanno pasta veloce” deve prevalere, grazie alla violenza dello Stato ed alla minaccia di una sanzione, sulle preferenze che esprimono quotidianamente milioni di individui?
Ed in ultimo, Caro Franceschini, ma Lei fa il Ministro degli italiani o il tutore di qualche categoria di lavoratori particolarmente interessante?