Ma allora per Gabanelli anche il Corriere inquina?
Alcune domande, fumando un sigaro, a proposito dell’inchiesta della giornalista sull’inquinamento ambientale prodotto dall’e-commerce
Dopo avere letto ed ascoltato sul Corriere della Sera l’inchiesta di Milena Gabanelli sull’inquinamento ambientale prodotto dall’e-commerce, ho acceso un sigaro Romeo Y Julieta, calibro Wide Churchill, (scusate la pubblicità occulta, ma sono davvero eccezionali) e sono sprofondato pensieroso dentro la poltrona dello studiolo avvolto da una coltre di fumo grigiastro.
Caspita, mi sono detto, ha ragione la Gabanelli! Per quattro spiccioli di risparmio non faccio altro che contribuire ad ammorbare ancora di più l’ecosistema del nostro pianeta. Costringo centinaia di camioncini a fare su e giù per l’Italia per portarmi cianfrusaglie di ogni tipo sino a sotto casa. Partecipo dell’aumento del consumo di carburanti, partecipo dell’aumento del consumo della plastica che serve per avvolgere ogni piccolo prodotto, partecipo dell’aumento della produzione e del consumo del cartone che serve per imballare ogni maledetto oggetto ordinato su Amazon. E tutto solo per risparmiare qualche dannatissimo euro.
E' proprio vero quello che dice la signora Milena; dovei smetterla di ordinare on line, dovrei acquistare nel negozio in strada (che al posto del cartone mi darebbe la busta di plastica o il nastrino da confezione), dovrei intensificare la mia presenza al centro commerciale (dopo avere fatto decine di chilometri in automobile), oppure dovrei aprirmi un piccolo box (in ufficio o al centro commerciale) dove ritirare il mio bel prodotto acquistato a mezzo calcolatore elettronico. Risparmierei così a questo furgoncino nuovo di zecca, prodotto da chissà chi e chissà dove, di fare su è giù da Busto Arsizio a Palermo per recapitarmi un solo maglioncino di lana (essendosi estinto il concetto di efficienza nei trasporti dopo il risultato elettorale del 4 marzo).
Ammazza quanto inquinano Amazon e tutti gli altri maledetti operatori dell’e-commerce! C’è veramente da rifletterci coscienziosamente.
Nel frattempo mi accorgo che il sigaro è ottimo, come sempre accelera la velocità di elaborazione dei miei poveri e lentissimi neuroni. Fumo appunto per questa ragione.
Piano piano, fra una tirata e l’altra, mentre assaporo questa prelibatezza cubana, ne osservo il lento consumo e mi sovviene che anche fumando un Romeo Y Julieta non faccio altro che inquinare.
Chi campa raccogliendo tabacco si recherà nei campi con le auto o i furgoncini, penso. Queste raffinatissime foglie dovranno poi essere trasportare all’interno di qualche opificio industriale e di certo non ci arriveranno grazie alla trazione meccanica dei muli. Servirà dell’elettricità prodotta da energie fossili per garantire tutto il processo di trasformazione. I sigari dovranno poi viaggiare verso un porto o un aeroporto, dove per mezzo di ferry boat o aeroplano arriveranno in Europa. Qui, una volta scaricati, verranno trasportati dentro grossi camion in Italia presso il rivenditore autorizzato che riempirà a sua volta centinaia di furgoncini per rifornire tutte le tabaccherie degne di questo nome.
A quel punto dovrò io montare sull’automobile, percorrere un po' di strada e comprare la mia bella scatola di sigari che se non fosse per quella maledettissima scritta paternalista che sta lì a ricordarmi che lo Stato s’impiccia pure del mio tabacco prediletto sarebbe un capolavoro d’arte moderna.
Il sigaro è quasi finito, la soddisfazione del tabagista è all’apice ed è a questo punto che mi è venuta in mente la domanda più intelligente di tutta la mattinata: ma quanto inquina il Corriere della Sera?