Perché il Presidente Mattarella è stato ineccepibile
La proposta di un Governo "neutrale" rispetta la lettera e lo spirito della Costituzione
La proposta del Presidente della Repubblica di designare una compagine governativa cosiddetta “neutrale”, destinata a traghettare il Paese verso le prossime elezioni da celebrare non prima dell’inizio del nuovo anno, ha suscitato non poche perplessità tecniche in un numero consistente di commentatori.
L’opinione di questi osservatori è che il Capo dello Stato avrebbe dovuto affidare al leader della Lega, Matteo Salvini, un incarico, un preincarico o un mandato esplorativo, per consentirgli almeno di esperire il tentativo di convincere un numero di deputati e senatori sufficienti a fare partire un Governo guidato dalla colazione di centro destra. E ciò in ragione del fatto che il raggruppamento politico messo in piedi insieme a Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni può vantare il consenso della maggioranza relativa dei voti espressi dagli elettori.
L’intenzione del Capo dello Stato di allestire un Governo di personalità non coinvolte nell’agone politico e destinate a rimanere, per espressa indicazione dello stesso Mattarella, all’esterno della prossima competizione elettorale, tradirebbe, invece, sempre secondo la predetta corrente di pensiero, il desiderio del Quirinale di tenere lontano dall’esecutivo Matteo Salvini per ragioni di politica internazionale e di agevolare il percorso politico del Partito democratico da dove lo stesso Presidente proviene.
Al netto della considerazione secondo la quale è impossibile (e non è nemmeno auspicabile) addentrarsi nelle eventuali riserve mentali del titolare della più alta carica dello Stato, si può, di contro, affermare come il percorso istituzionale sin qui seguito dal Presidente della Repubblica sia stato assolutamente condivisibile e inappuntabile.
Assecondando lo spirito e la lettera della Costituzione repubblicana, il Capo dello Stato, in un primo momento, si è limitato a registrare la volontà dei partiti che si sono contesi i favori elettorali lo scorso 4 marzo ed ha preso atto della impossibilità di dare vita ad un Governo politico sostenuto da una maggioranza parlamentare solida e predeterminata.
In questa fase il Quirinale si è correttamente limitato a svolgere funzioni notarili di chi verifica gli esiti del libero esercizio dell’attività politico - parlamentare, senza adoperarsi in alcuna forzatura o interferenza indebita.
Il Presidente Mattarella ha consentito alle forze politiche di confrontarsi più volte sulla possibilità di comporre una qualche maggioranza parlamentare ed ha concesso anche il tempo necessario per tentare di smussare gli spigoli del tavolo attorno al quale si è svolto il confronto partitico.
Si può ragionevolmente supporre come all’esito di questa fase il Capo dello Stato abbia preferito non investire di alcun incarico né il leader della Lega, né il capo politico del movimento cinque stelle, per evitare recriminazioni reciproche circa il vantaggio rappresentato dalla chance offerta dal Presidente delle Repubblica di recuperare in Parlamento i voti mancanti alla formazione di un maggioranza politica. Anche il leader del movimento cinque stelle, infatti, avrebbe potuto pretendere di giocarsi la possibilità di formare una compagine ministeriale sorretta da una inedita maggioranza parlamentare.
Insomma, di fronte a due pretendenti che potevano vantare l’uno il 37% dei suffragi e l’altro il 33%, l’assegnazione di un incarico per la formazione del governo, senza la preventiva manifestazione di una maggioranza parlamentare certa, avrebbe potuto rappresentare (quantomeno agli occhi dell’altro pretendente) un indebito vantaggio in grado di azzerare poi le opportunità di successo di uno dei due schieramenti politici.
E’ realistico pensare, pertanto, che proprio per evitare di scegliere fra due opzioni parimenti aleatorie, onde eliminare il rischio d'apparire arbitro non imparziale, il Presidente Mattarella abbia deciso di assegnare un incarico per la formazione del Governo solo in presenza dell'esternazione da parte dei partiti politici, nel corso delle consultazioni, di una maggioranza parlamentare chiara e netta.
Esaurita la fase della libera espressione dei gruppi parlamentari, il Capo dello Stato avrebbe potuto procedere all’immediato scioglimento delle Camere, ma più correttamente ha preferito proporre alle forze politiche la costituzione di un Governo cosiddetto “neutrale” al duplice fine, da un lato, di rivendicare l’espansione dell’influenza della Presidenza della Repubblica in occasione del manifestarsi di una paralisi parlamentare (conformemente alla prassi costituzionale e all’opinione della dottrina prevalente) e, dall’altro, di rimettere nelle mani del Parlamento sovrano la soluzione della crisi post elettorale.
Tanto l’una quanto l’altra finalità, oltre ad essere del tutto legittime, rappresentano l’adeguato equilibrio del rapporto dialogico fra Parlamento e Presidenza della Repubblica. Il Capo dello Stato davanti a crisi post elettorali come quella che stiamo registrando si tramuta, infatti, da mero notaio degli assetti parlamentari che assicurano la funzionalità delle assemblee legislative ed individuano maggioranza ed opposizione, a forza propulsiva delle dinamiche della forma di Governo e si fa mallevadore della continuità dell’azione politica, non già avocando a sé (cosa impensabile) l’indirizzo politico e la direzione dello Stato, ma chiedendo alle forze parlamentari di condividere soluzioni temporanee in attesa dell’auspicabile ritrovata guida del consesso legislativo.
Il Presidente della Repubblica, pertanto, ha proposto una soluzione ponte nell’ottica di riconsegnare al più presto alla pienezza della direzione parlamentare la guida del Governo. Tanto è vero che Egli ha affermato che avrebbe garantito la durata temporanea del nuovo esecutivo e persino le dimissioni del Governo incaricato per l’ipotesi in cui le forze parlamentari fossero state capaci di trovare nel frattempo un auspicabile accordo di maggioranza.
Cosa avrebbe potuto fare di meglio il Capo dello Stato per tutelare la sovranità del Parlamento? Solo sciogliere le Camere poco più di tre mesi dopo dalla celebrazione delle elezioni del 4 marzo?